Individualismo della speranza

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Nei decenni scorsi le associazioni dei familiari delle persone con autismo hanno svolto un ruolo decisivo nella grande svolta che si è operata in tutti i Paesi del mondo: una svolta culturale, che ha avuto come suo centro il crollo della visione psicodinamica-psicoanalitica dell’eziologia dell’autismo, inteso come condizione instaurata nel bambino dal rapporto istituito con lui dalla madre. Al crollo di questa visione, col contemporaneo affermarsi di un approccio scientifico e neurobiologico, si è accompagnata l’affermazione di trattamenti cognitivo-comportamentali della sindrome come l’unica via percorribile. Le associazioni dei familiari possono vantare grandi meriti in questa rivoluzione. E tuttavia noi oggi constatiamo come le famiglie giovani con bambini autistici fatichino molto ad aderire alle associazioni, a lavorare in collettivo. Esse tendono piuttosto a restringere la visione del problema autismo al trattamento hic et nunc del loro figlio, a non porsi la questione della futura età dell’adolescenza e della fase successiva. I genitori giovani subiscono da un lato il prevalere di una impostazione meramente tecnicistica (di qui tutte le rivendicazioni e le discussioni sull’ABA fatto così o cosà, ecc.), dall’altro l’assenza di proposta di prospettive a lungo termine da parte dei sistemi socio-sanitari. È anche una mancanza di responsabilità: neuropsichiatri, psicologi ecc. dovrebbero spiegare molte cose alle famiglie, e non lo fanno a sufficienza, molto spesso non lo fanno per nulla. Tra le cose che dovrebbero spiegare è questa: i casi di sicura uscita dalla condizione autistica da parte di individui realmente autistici sono alquanto rari, solitamente chi è autistico da bambino, per quanti miglioramenti abbia realizzato, resterà una persona con autismo, e per questo è necessario che per lui si prepari un percorso di vita adeguato. Ma la naturale tendenza delle famiglie giovani è quella di sperare, sperare, sperare. La speranza non va abbattuta, ma va regolata e razionalizzata. Se alimentata indiscriminatamente, porta all’isolamento delle famiglie, all’individualismo delle “soluzioni”, e all’impossibilità di mantenimento di un fronte comune rispetto alle istituzioni. Purtroppo, in un Paese le cui tendenze familistiche e particolaristiche sono davanti agli occhi di tutti, la coesione dei genitori nel comune impegno a difesa delle persone con autismo è un obiettivo difficile da attingere.

6 Responses to Individualismo della speranza

  1. Avatar di giampiero giampiero ha detto:

    Io faccio parte di quei genitori (giovani ma neanche più tanto) che non si sono iscritti alle associazioni e che hanno cercato di cavarsela da soli, prendendo anche grosse cantonate (soprattutto da internet). Ma quando mia moglie si interessò alla locale associazione, ne uscì più depressa e delusa di prima, trovando solo disillusione e sottomissione alle istituzioni (ad esempio genitori che non si lamentano mai per paura di disturbare quei personaggi che poi devono assegnarti le ore di sostegno, firmare i certificati, trovarsi in commissione per la pensione). All’epoca, ciò che offrivano erano delle piccole convenzioni per la musicoterapia, il nuoto-parcheggio in acqua… tutti chiaramente inutili palliativi. E poi i dirigenti (con figli grandi) erano tutti comprensibilmente orientati alla vita adulta, a cosa si fa dopo la scuola, ai centri diurni… tutte cose cui un genitore di un bimbo neodiagnosticato, a mio parere, non può e non deve pensare. Occorre invece dare indicazioni utili sui trattamenti precoci, intensivi e strutturati

    • Avatar di Fabio Brotto Fabio Brotto ha detto:

      Gentile Giampiero, un’associazione dovrebbe occuparsi sia degli autistici bambini sia degli autistici adolescenti ed adulti. L’autismo dura tutta la vita, e servono progetti e percorsi generali. Un’associazione poi non dovrebbe tanto offrire servizi (anche se è possibile, e in tal caso dovrebbero rispondere alle indicazioni scientifiche correnti), ma piuttosto combattere perché l’autismo sia affrontato dalla società in forme culturalmente adeguate e socialmente progredite. I figli crescono rapidamente, e quindi anche se si deve lavorare al massimo per la loro abilitazione, si deve contemporaneamente pensare al loro futuro, perché questo non si costruisce in un attimo, e attualmente finita la scuola per loro non c’è nulla. Naturalmente, poi, l’autismo è una costellazione dentro la quale rientrano tipologie diversissime. E’ chiaro che i problemi del genitore di un asperger sono ben differenti da quelli di un averbale con ritardo cognitivo profondo… In ogni caso, l’isolamento delle famiglie è disastroso.

  2. Avatar di giampiero giampiero ha detto:

    Ha ragione e un altro appunto che mi permetto di fare alle associazioni (almeno quella che ho conosciuto da fuori) è di come i parent training vengano organizzati sulla base dell’età dei figli autistici e non del loro quadro clinico-comportamentale.Recentemente la mamma di un bimbo ad altissimo funzionamento mi diceva di come si sia sentita inadeguata e angosciata all’interno di un gruppo nel quale non riusciva a esprimersi, temendo di creare fastidio e antipatia nei genitori di bimbi più gravi, coi quali si sentiva avere poco da spartire, se non la grande solitudine.

  3. Avatar di La rana dalla bocca larga Gianni Papa ha detto:

    Il problema è sia da parte delle associazioni (associazioni che hanno lo stesso presidente e lo stesso consiglio direttivo per decenni e che spingono per curare solo i propri interessi) che da parte delle famiglie “giovani”, che sono troppo individualiste e non accettano “l’autismo dura per tutta la vita”.
    Per cui… non se ne esce. Siamo condannati a litigare, con questo tipo di associazioni.
    Riformiamo le associazioni e consentiamo presidenti neo-iscritti che possano portare idee completamente nuove, anche nelle associazioni “potenti”, con amicizie politiche e tanti fondi da parte.

  4. Avatar di Fabio Brotto Fabio Brotto ha detto:

    Non se ne uscirà mai se le famiglie giovani non iniziano a lavorare nelle associazioni, premendo per un cambio generazionale e formando nuove leadership. Ti assicuro, caro Papa, che uno dei problemi di tutte le associazioni di volontariato, non solo di quelle per l’autismo, è lo scarso ricambio. Dato che le cariche di presidente (a parte quelle nazionali) significano solo impegno, stress, sottrazione di tempo alla famiglia e a se stessi, e scocciature di ogni genere, molti presidenti di associazione – me compreso – non vedrebbero l’ora di passare in seconda linea. Ma non emergono candidature al ruolo ingrato, purtroppo.

  5. Avatar di La rana dalla bocca larga Gianni Papa ha detto:

    Io mi ero proposto per fare il presidente di Angsa Lombardia e mi hanno rifiutato l’iscrizione (restituendomi persino gli 80 euro) senza sapere cosa avessi da dire e sapessi fare e anche senza guardarmi in faccia

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