Autismo, “dopo di noi” e la nostalgia del futuro

14/09/2014

Loris (Lorenzo Gassi), "Paura e angoscia dell'autismo", 2001Un importante articolo di Gianfranco Vitale apparso su Superando.it offre abbondante materia di riflessione.

Può succedere, a volte, che i mass-media propongano l’uso esasperato di neologismi o di termini fino a poco tempo prima usati – come dire? – “normalmente”, che entrano a far parte, tout court, del nostro bagaglio comunicativo. È capitato ieri, ad esempio, con “nella misura in cui…” o “un attimino”, succede oggi con il “detto questo…”, con lo “stacchiamo la spina”, con “l’infantilismo intra-uterino”, e anche con l’abuso (avete notato?) dell’aggettivo “ottimo” e via dicendo.
In questo clima inflazionato, capita magari – persino a una modesta persona come il sottoscritto – di veder giudicato svariate volte, con la patente di “ottimo”, un normale intervento sul tema del cosiddetto “dopo di noi” [“‘Dopo di noi’: costruire il futuro, conoscendo il presente”, pubblicato dal nostro giornale, N.d.R.], in cui francamente credevo di essermi limitato a sottolineare situazioni e condizioni che tutti, ahimè,dovremmo conoscere bene. Continua…


Su Pier Carlo Morello

06/03/2014

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A proposito di Pier Carlo Morello, il giovane autistico laureatosi a Padova, si leggono sulla stampa e nell’internet molte inesattezze, a cominciare dall’affermazione che si tratterebbe della prima persona con autismo laureatasi in Italia. Ma quel che trovo strano è l’atteggiamento di alcuni fra quelli che intervengono criticamente sulla vicenda affermando che Morello in realtà non sia autistico. Essendovi di mezzo la Comunicazione Facilitata, una tecnica che per l’autismo è screditata presso la comunità scientifica internazionale, dimostrata fallace, e apertamente sconsigliata anche dall’Istituto Superiore di Sanità, e della quale in USA non si discute nemmeno più da vent’anni, l’argomentazione dovrebbe essere più trasparente e meglio fondata. Il punto centrale è questo: mediante la C.F. si fa passare l’idea–falsa–che dentro l’involucro della persona autistica che non è in grado di esprimersi esista un essere diverso da quello che appare, un essere che prova sensazioni, emozioni, e pensa pensieri uguali a quelli degli altri, dei neurotipici. La C.F. promuove dunque l’idea–falsa–che l’autismo sia solo una incrostazione, e non qualcosa che pervade tutto, anche il nocciolo più profondo della persona. In effetti, la C.F. implica una tragica falsificazione dell’autismo, una radicale non comprensione della sua realtà.
Se tu sei autistico, tu agisci da autistico, tu pensi da autistico, e tu parli e scrivi da autistico. Perché l’autismo è un modo di essere. Ma i testi prodotti con la C.F. (ne abbiamo visti più d’uno) presentano modalità comunicative, espressive, livelli linguistici e metaforici che sono propri delle persone neurotipiche. «La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce». Molti di quelli che sanno cosa sia l’autismo leggendo questa frase attribuita a Morello, con la sua aura poetica e la sua profondità metafisica,  giungeranno alla conclusione che lui non sia affatto autistico. Ma occorre ricordare che è stato dimostrato come nell’impiego della C.F. nei testi tenda a passare il pensiero del facilitatore (non autistico) piuttosto che quello autistico del facilitato. Dunque, Morello è senz’altro autistico, e tuttavia il Morello che emerge da quello che scrive non è quello reale, ma la sua oggettivazione operata dalla Comunicazione Facilitata.


Autismo e relazione

29/08/2013

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Un librettino di 97 pagine, note comprese, è questo Autismo e relazione (Mimesis 2013), in cui la psicoanalista Marta Tagliabue ci presenta la sua visione dell’autismo, fondata su una serie di letture e sull’esperienza fatta con una bambina autistica, Sara. Il testo è interessante per chi come me è attento ai tentativi che la psicoanalisi opera per autogiustificarsi nei confronti di una realtà psichica circa la quale essa ha commesso il suo errore più clamoroso. Sono tentativi quasi commoventi, a volte. Marta Tagliabue dimostra un’apprezzabile apertura mentale, per alcuni aspetti, rispetto allo standard medio degli psicoanalisti, ma ovviamente il suo libro soffre del difetto capitale di fondare il discorso sull’autismo sopra una relazione con una sola persona autistica.

In un qualche modo, potremmo ricondurre la prospettiva cui approda la Tagliabue–occorre accettare l’essere autistico della persona con autismo come il suo proprio modo di essere e di relazionarsi al mondo, e non tentare in tutti i modi di portarla al nostro neurotipico modo di essere e di relazionarci al mondo–a quella portata avanti dai movimenti di auto-advocacy, di affermazione della neurodiversity ecc., che si vanno affermando negli USA.

«Per prima cosa, secondo me, il genitore deve fare i conti con l’ideale di figlio che aveva immaginato e che non corrisponde con il bambino che ora si trova davanti. Il grande rischio che può incorrere [sic] è quello di iniziare una battaglia cercando di aiutare il figlio, con ogni mezzo, e partendo da quello che lui ritiene essere il meglio, volendo cambiarlo e renderlo il più vicino possibile a quello che lui ha in mente come “normalità”. Perdendo di vista, in tutto questo, il modo di essere del bambino e non riuscendo a stare nel qui e ora della relazione.» (p. 90)

Questa affermazione può sembrare banalmente sensata. Ma il problema della maggioranza dei genitori con figli autistici gravi oggi non è tanto quello di riuscire ad accettare la diversità del figlio, bensì quello di sopravvivere essi stessi al peso derivante da questa formidabile diversità, e di riuscire a dare ai figli qualche possibilità di vita umana in un contesto sociale per il quale non sono minimamente attrezzati. Del resto, il concetto stesso di accettazione non è così luminoso e lineare come potrebbe sembrare immediatamente, ma può essere ambiguo, e spesso può intersecare quello di rassegnazione.


Biomedico e “uscite dalla diagnosi” (6)

18/02/2013

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Per comprendere i meccanismi che portano ad accreditare tesi irrazionali e trattamenti privi di validazione scientifica, può essere utile un apologo. Il Racconto del broker fortunato:

Tanto, tanto tempo fa, un tipo sveglio decise di provare a guadagnare un sacco di denaro in borsa. Dopo aver osservato il mercato borsistico per un certo tempo, si rese conto che il modo migliore di fare soldi con le azioni non era quello di comprarle e rivenderle, ma piuttosto quello di vendere consulenze. Sapendo come moltissime persone che investono in borsa siano molto sospettose nei confronti dei consulenti, egli si prefisse di dimostrare che possedeva un speciale capacità di sapere quando le azioni sarebbero salite o scese. Elaborò quindi una lista di diecimila individui che erano attivi giocatori in borsa, e mandò a ciascuno di loro una e-mail che descriveva i suoi servizi (e tariffe) fornendo anche una scelta di azioni.
Metà dei possibili clienti ricevette una e-mail che diceva che quelle azioni nella settimana successiva sarebbero salite, e l’altra metà una e-mail che diceva che le azioni sarebbero scese. Alla fine della settimana, le azioni che aveva scelto erano scese, così lui mandò un’altra e-mail alle cinquemila persone che avevano ricevuto la consulenza “corretta”.
Metà dei cinquemila possibili clienti ricevette una e-mail che diceva che un altro gruppo di azioni nella settimana successiva sarebbe salito, l’altra metà una e-mail che prediceva una discesa. Alla fine della settimana mandò un’altra e-mail ai rimanenti 2500 possibili clienti.
Dopo sei settimane si era ridotto a 150 clienti potenziali, ma quei 150 lo avevano visto predire correttamente l’andamento azionario per sei volte di fila! L’ultima e-mail che mandò a costoro diceva che per continuare a ricevere queste previsioni occorreva fare una sottoscrizione quinquennale al suo servizio.

Non si vuol sostenere che i ciarlatani del “biomedico” nell’autismo stiano deliberatamente facendo qualcosa di simile, sebbene forse qualcuno di loro lo faccia. I genitori a cui sembra di vedere dei risultati, quasi sempre dovuti alla casualità e alla tendenza umana a confondere correlazione con causazione, si convinceranno che, qualunque sia il trattamento che hanno scelto, esso sta “funzionando”. E questo non dovrebbe sorprendere, dato che proprio i genitori che tendono a gravitare verso i trattamenti biomedici di solito sono gli stessi genitori che addossano ai vaccini la responsabilità dell’autismo dei propri figli. Questi genitori sono già predisposti a confondere correlazione con causazione. Siccome i bambini, autistici e neurotipici, si sviluppano in modo dicontinuo, con improvvisi “schizzi”, riesce molto facile pensare che un trattamento che solo per caso è iniziato prima di un periodo di rapido sviluppo sia la ragione del miglioramento nei sintomi del bambino autistico, anche quando ciò è stato usato è l’omeopatia (cioè semplice acqua).


Biomedico e “uscite dalla diagnosi” (5)

09/02/2013

AT

I genitori, dato che osservano quotidianamente i loro figli, sono convinti di comprendere il loro autismo meglio di chiunque altro, perfino degli esperti. Naturalmente, è ugualmente probabile, se non di più, che essi siano tanto vicini ai loro figli da non poter essere obiettivi, e la loro mancanza di obiettività può colorare profondamente le loro osservazioni, portandoli in questo modo fuori strada (a confondere la correlazione con la causazione, per esempio, o a intendere erroneamente la regressione come modo per un miglioramento reale), ma pochi di loro sembrano accorgersi di questa possibilità, e ancor meno accettarla. Questo è evidente nell’esempio prototipico di trattamento biomedico dell’autismo: la secretina.
La secretina entrò in scena per la prima volta nel 1998, quando per la prima volta uscì la notizia che una singola iniezione di secretina, di routine nell’endoscopia, aveva migliorato clamorosamente il linguaggio e il funzionamento di un bambino autistico. La notizia suscitò una grande eccitazione e portò ad un largo uso della secretina, e ad una messe di studi di molti tipi, e alla fine a studi clinici randomizzati. Molti di questi studi non supportarono i risultati iniziali. Infine si svolse uno studio controllato randomizzato condotto da Replingen, l’azienda che vende la secretina, i cui risultati furono negativi. Oggi il consenso scientifico, come è descritto nella Cochrane Review e in molte altre rassegne della  letteratura scientifica è che la secretina non fa niente per i sintomi dell’ASD e che il suo uso nell’ASD non merita alcun ulteriore studio.
Ma niente di tutto questo distoglie dalla difesa e dall’uso della secretina i fedeli del biomedico per l’autismo. Per esempio, se si va allo stravagante blog antivaccinista Age of Autism si troveranno di tanto in tanto dei commentatori che esaltano le virtù della secretina, sebbene la scienza abbia chiuso la questione da tempo. Lo stesso fanno altri siti web. E il ramo in Florida di Scientology recentemente ha sostenuto che la ragione per cui gli studi scientifici sulla secretina hanno dato risultati negativi è  che i ricercatori hanno usato una versione “sintetica” della secretina, mentre i “miglioramenti clamorosi” erano dovuti ad una “versione naturale” dell’ormone, tratta dai maiali. In altre parole, alcuni genitori e ciarlatani giurano sulla secretina, sebbene il fatto che la secretina non faccia nulla per l’autismo sia addirittura più evidente del fatto che i vaccini non causano l’autismo.

 


Biomedico e “uscite dalla diagnosi” (2)

04/02/2013

AT

Ma quanto miglioramento è possibile? I bambini autistici “recuperano”, e, se lo fanno, quanto recuperano? Il movimento biomedico per l’autismo è pieno di storie di bambini “recuperati”, ma spesso, se si esaminano quelle storie, esse risultano essere non troppo convincenti, non diversamente dal modo in cui le testimonianze della “cura” del cancro con la medicina alternativa tendono a impressionare molto meno se esaminate attentamente da qualcuno che non sia direttamente coinvolto nel caso. Tuttavia, nel caso dell’autismo le cose non stanno semplicemente in questi termini. Vi sono chiaramente dei bambini che perdono la loro diagnosi di autismo o disturbo dello spettro autistico, secondo osservazioni pubblicate già dagli anni 1977, quando Rutter Rutter riportò che il 1.5% degli adulti che avevano ricevuto una diagnosi di autismo avevano un funzionamento normale, mentre 30 anni dopo Sigman e altri riportarono che fino al 19% dei bambini autistici “perde la sua diagnosi”. Sulle ragioni di questa osservazione è in corso un’animata discussione, e fino a poco tempo fa si assumeva spesso che i recuperi di questi bambini non fossero in realtà dei recuperi autentici, ma che questi bambini fossero stati mal diagnosticati o la loro diagnosi fosse stata eccessiva. Questo assunto appariva intuitivamente sensato, poiché un risultato simile è più probabile con bambini cui sia stata diagnosticata la sindrome di Asperger o un disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato, due categorie che derivano dall’espansione dei criteri diagnostici per l’autismo. Sia come sia, tirando le fila, si ritiene che tra il 3% e il 25%  dei bambini autistici “perda la propria diagnosi”. Tuttavia, pochi di questi studi sono esplicitamente indirizzati ad appurare se le abilità sociali e comunicative di questi bambini siano pienamente tipiche. Uno studio recente può aiutare a chiarire quale grado di recupero sia possibile o non possibile, mentre  la maggior parte degli studi precedenti erano piccoli e non guardavano specificamente ai risultati che interessano alla gente. Pubblicato in The Journal of Child Psychology and Psychiatry, questo studio si intitola Optimal outcome in individuals with a history of autism.


Biomedico e “uscite dalla diagnosi” (1)

03/02/2013

AT

Inizio qui una serie di post che sono una traduzione-adattamento di un articolo di Respectful Insolence dal titolo Does anyone “recover” from autism? .

Per contrastare quella massa di pseudoscienza isterica che è il movimento antivaccinista col suo mito che i vaccini causino l’autismo, e la credenza in quella sostanziale ciarlataneria che è il trattamento biomedico dell’autismo, occorre avere idee chiare e corrette. Ma ciò sovente non basta, perché i miti sono originati da strutture profonde della psiche, e il ragionamento puro spesso non ha forza sufficiente. In ogni caso, occorre tener sempre presente che l’autismo e i disturbi dello spettro autistico sono condizioni di sviluppo ritardato o sviluppo differente, non condizioni di stasi dello sviluppo. I bambini autistici possono evidenziare miglioramenti nei loro sintomi semplicemente attraverso la loro crescita e il loro sviluppo. Invece i genitori che sottopongono i loro figli ad un trattamento biomedico sembrano vedere l’autismo come una condizione di stasi dello sviluppo. Questo è il motivo per cui quei genitori attribuiscono così facilmente qualsiasi miglioramento dei propri figli a qualunque ciarlataneria di moda stiano usando su di loro. E questo è anche il motivo per cui, al fine di determinare se un dato intervento abbia una efficacia reale, sono richiesti studi clinici controllati randomizzati. In realtà, non è così difficile vedere perché, se si prendono in considerazione la credenza diffusa che i bambini autistici non migliorino, insieme con i ricordi imperfetti dei genitori zeppi di pregiudizi di conferma (confirmation bias), che confondono la correlazione con la causazione, e altri elementi di confusione come la regressione, tanti genitori credano che il trattamento biomedico abbia effettivamente aiutato i propri figli. Inoltre i miglioramenti osservati nei bambini autistici tendono ad essere incostanti, con periodi di cambiamenti limitati intrecciati a periodi di sviluppo rapido. Qualora uno di tali periodi di sviluppo rapido appaia dopo un intervento biomedico, a cosa sarà assegnato il merito del miglioramento?


Le percezioni sensoriali nell’autismo e nella sindrome di Asperger

31/12/2012

Le percezioni sensoriali nell'autismo e nella sindrome di Asperger

Le percezioni sensoriali nell’autismo e nella sindrome di Asperger, di Olga Bogdashina, è pubblicato in Italia dalle edizioni uovonero (2011). Il titolo originale col sottotitolo è lungo ed eloquente: Sensory Perceptual Issues in Autism and Asperger Syndrome. Different Sensory Experiences – Different Perceptual World. Esperienze sensoriali differenti – mondo percettivo differente: questo è il dato essenziale, che fonda l’intera argomentazione del testo di Olga Bogdashina. Si tratta di un libro uscito nel 2003, e in questi 10 anni la ricerca sull’autismo ha realizzato grandi progressi, e tuttavia quel dato essenziale rimane: se è vero che le persone autistiche hanno esperienze sensoriali differenti da quelle dei neurotipici, e da questo deriva un loro mondo percettivo differente, e da questo conseguono comportamenti che ci appaiono insensati, e che poi vengono trattati a prescindere dalla comprensione di quel mondo, le problematiche rimarranno sempre gravi, e ciò che si otterrà sarà solo, eventualmente, una modifica della parte emersa dell’iceberg autismo, mentre la parte immersa e invisibile, la più grande, rimarrà intatta.
Un piccolo esempio soltanto: «Molti individui autistici hanno riferito di avere grosse difficoltà a tollerare luci fluorescenti, poiché sono in grado di vedere uno sfarfallamento con frequenza di 60 cicli al secondo. I problemi legati agli sfarfallii possono andare da un eccessivo affaticamento degli occhi al vedere una stanza “pulsare” (Grandin). Alcune persone riferiscono di sentirsi assonnare quando le luci fluorescenti sono accese.» (p. 70) In tutte le scuole italiane i nostri figli autistici hanno i loro banchi sotto belle luci al neon, magari in classi dove regnano disordine e rumore, e questo viene chiamato integrazione!

Il libro della Bogdashina offre una panoramica molto vasta e articolata delle problematiche sensoriali,  e dovrebbe costituire una lettura obbligatoria per tutti i neuropsichioatri italiani. Dal canto nostro, aderiamo totalmente a quanto l’autrice scrive nelle conclusioni (p. 193): «Poiché una qualche disfunzione sensoriale è presente in tutti gli individui con autismo, sarebbe utile ai genitori dei bambini autistici e ai professionisti che lavorano con questi bambini essere più informati sui problemi senso-percettivi che essi incontrano e sui possibili modi di aiutarli.
In ogni caso, dobbiamo smettere di tentare di renderli “normali” e di adattarli al nostro mondo. L’obiettivo di ogni intervento dovrebbe essere aiutare gli individui autistici ad affrontare i propri problemi e a imparare a funzionare nella comunità. Qualsiasi programma di trattamento o di terapia venga utilizzato non li renderà meno autistici. Un’accresciuta autoconsapevolezza può però portare a compensare meglio le proprie difficoltà, il che a sua volta può ridurre i sintomi e rendere l’autismo meno disabilitante.»


Scienza, coscienza e libertà di cura

29/11/2012

È una lettera aperta ai genitori quella che Paolo Moderato firma e pubblica nel sito dello IESCUM. La condividiamo pienamente, dalla prima all’ultima parola. I numerosi genitori che condividono la fede biomedica devono capire che applicare contemporaneamente al proprio bambino trattamenti scientifici e trattamenti para-scientifici o alternativi o non-convenzionali, ecc., privi di qualsiasi verifica metodologicamente corretta, ostacola la stessa possibilità di comprensione esatta di quel che funziona e di quanto funziona.


Lavorare con le famiglie dei bambini con autismo

19/11/2012

Ha come sottotitolo Guida per gli operatori, e tutti coloro che trattano professionalmente con bambini autistici e con le loro famiglie dovrebbero leggerlo e meditarlo, ma è ricchissimo di spunti utili anche ai familiari. Il libro di Cesarina Xaiz e Enrico Micheli Lavorare con le famiglie dei bambini con autismo (Erickson 2011) offre un approccio che è insieme scientifico e umanistico, di uno spessore che si ritrova soltanto nella scuola belga di Theo Peeters. Micheli è stato uno straordinario maestro, e questo testo è in qualche modo la sua eredità. Il principio che anima l’opera e la riflessione di Xaiz e Micheli è espresso da quel lavorare con del titolo: l’autismo è  una realtà straordinariamente complessa, e ogni trattamento parziale effettuato da professionisti in un compartimento stagno non è adeguato, e può essere controproducente. L’autismo non ha origine nella relazione, come una volta si pensava (e come molti purtroppo si ostinano a pensare), ma la influenza nel modo più pesante, anzitutto nella famiglia, con esiti che possono essere distruttivi. La sindrome non è pervasiva solo a livello della persona che ne è direttamente colpita, ma pervade ogni ambito di vita della famiglia, trasformandola potentemente. Di questo non si tiene ancora sufficientemente conto nell’opinione pubblica e purtroppo anche nei servizi socio-sanitari. Di questo Xaiz e Micheli sono invece assolutamente consapevoli. «Data la durezza della vita e del lavoro con bambini che presentano un disturbo complesso come l’autismo (…) è necessario che professionisti e genitori si sostengano emotivamente a vicenda, anche perché, insieme, possono meglio ottenere dalla comunità servizi adeguati per il trattamento dei bambini e per la qualità della vita degli adulti» (p. 27). L’importanza della gestione delle emozioni (dei genitori, di fratelli e sorelle, dei terapisti, ecc.) non sfugge agli autori del libro, che avanzano proposte e forniscono indicazioni illuminanti. Anche il ruolo attivo dei genitori come gruppo che agisce in quanto tale, e al cui interno trovano un possibile allentamento le terribili tensioni che la vita con un figlio autistico può innescare, viene enfatizzato e illustrato.

«Innanzitutto, la salute dell’intera famiglia è importantissima e non va sacrificata all’idea di fare tutto per guarire il bambino: nella scelta di tempi, modi e obiettivi vanno calcolate le risorse dei familiari. Le relazioni tra genitori e bambini, terapisti e genitori, sono osservabili e trattabili come parte della natura: la nostra epistemologia include tanto le scienze cognitivo-comportamentali quanto quelle sistemiche. Questo vuol dire non limitarsi alla cosiddetta «terapia comportamentale» per l’autismo, che può essere estremamente riduttiva: è necessaria al contrario l’esperienza clinica della psicoterapia cognitiva, comportamentale e dell’ottica sistemica. Strategie di coping, interventi antidepressivi, cura della relazione tra coniugi, interesse per gli altri componenti della famiglia sono necessari quanto il lavoro con il bambino autistico per incidere sul benessere del piccolo e della sua famiglia.» (p. 32)


Alleanza difficile e necessaria

29/10/2012

Leggo nella prefazione di Anna Maria Dalla Vecchia al libro di Cesarina Xaiz e Enrico Micheli Lavorare con le famiglie dei bambini con autismo (Erickson 2011): « (…) chi opera nei servizi pubblici può essere sollecitato a ripensare la propria organizzazione in un’ottica innovativa, soprattutto in termini di costruzione di alleanze, di empowerment, di crescita delle competenze dell’ambiente familiare e sociale, quindi con risultati a lungo termine di maggiore efficacia nell’intervento per il bambino e la sua famiglia. La creazione di una buona alleanza con i genitori nasce a partire dalla prima fase del loro incontro con gli operatori e i servizi, quella della formulazione e della comunicazione della diagnosi. Le testimonianze competenti e articolate dei genitori a tale riguardo sono esplicite e fanno riflettere.» (…) «Sicuramente questa è una trasformazione difficile, che implica ulteriori percorsi di formazione dei tecnici di tutte le professionalità. Ma si devono ancora superare culture obsolete che hanno creato una divisione, anziché un’alleanza, con le famiglie, e modelli organizzativi di servizi che sanciscono un’assurda scissione tra chi fa la diagnosi e chi, invece, il trattamento, con tutte le fratture culturali e temporali che ciò comporta.» (…) «Ma non si può tornare indietro: anche il migliore neuropsichiatra infantile, psicologo o terapista, capace di lavorare nel proprio ambulatorio con il bambino, spreca le proprie competenze se non riesce a collaborare con i genitori in modo efficace e utile alle problematiche reali della famiglia».


Staminali

12/09/2012

Sulle cellule staminali e sul mercato delle illusioni che si è sviluppato intorno ad esse, domenica scorsa è uscito sul Il Sole 24 Ore un interessante articolo di Paolo Bianco. Sono particolarmente interessato a questi sviluppi in quanto padre di un ragazzo autistico. E sul terreno dell’autismo, si sa, cresce di tutto: per lo più male piante.

Pochi anni fa, il paese si appassionò al caso Di Bella. Fior di scienziati, ministri, media e comuni mortali, tutti argomentavano appassionatamente di “clinical trial” ed «evidence based medicine», qualcuno argomentando informato, qualcuno no. Si insisteva con tenacia sul ricorso alla «letteratura scientifica internazionale» come criterio di attendibilità. Dopo tanto menar di dotti fendenti, si stabilì infine, previa idonea sperimentazione clinica, l’inefficacia della cura proposta, e la vicenda e la cura lentamente sbiadirono nella memoria. (…)

E se la speranza si può comprare, la si può vendere. Meraviglie dell’economia post-industriale. In medicina, l’economia post-industriale c’è da sempre. Cos’altro si vendeva, per quattromila anni, prima che esistesse del tutto una qualunque possibilità tecnica di curare razionalmente alcunchè? Cos’altro se non la semplice speranza, si attendevano dalla medicina i malati e le loro famiglie, quando la peste colpiva senza che nessuno sapesse perché, e dunque neanche quale fosse il rimedio? Oggi della peste ci occupiamo come memoria, ma non sappiamo che fare per Alzheimer e autismo, per Parkinson e atrofia muscolare spinale. E prima che esista una terapia razionale ed efficace, se qualcosa si può somministrare e vendere, è solo la speranza. “Le staminali” sono la speranza. Le staminali dunque qualcuno vende, assai prima che esista qualunque canonica prova della loro efficacia clinica. In Thailandia e nelle Filippine, le vendono i mercanti. In occidente, le vendono gli scienziati (alcuni, beninteso). Ecco il problema. di Paolo Bianco e Michele De Luca – Il Sole 24 Ore  9. 9. 2012 – leggi l’intero articolo qui.


Trattamenti

13/08/2012

Linea Guida per i trattamenti dell’autismo per bambini e adolescenti. Un’utile sintesi qui.


Realismo

03/07/2012

L’Italia, patria di Machiavelli e Guicciardini, due delle massime espressioni del realismo nella teoria politica, è stranamente mancante di realismo a tutti i livelli. Siamo un Paese di sognanti (più o meno barbari), in cui si credono realisti da un lato coloro che praticano il vivere alla giornata, il tirare a campare, dall’altra quelli che aderiscono ad una idea (una sola, perché il loro cervello mal si presta alla dialettica) con furore talebano. Le grandi prospettive realistiche non ci sono, da noi non hanno fortuna. Così, inevitabilmente, è anche nel campo dell’autismo. Mi è venuto da pensar questo l’altro giorno a Pavia, ascoltando l’intervento di Gary Mesibov al convegno per i dieci anni di Cascina Rossago. Mesibov ad un certo punto ha utilizzato una nota immagine che rappresenta bene la visione della scuola di Schopler: «Come ai disabili fisici inchiodati alla loro carrozzella bisogna fornire tutte le modificazioni ambientali che possano consentire loro la miglior vita possibile, e non gli si può chiedere, ad esempio, di alzarsi dalla carrozzella e di salire le scale a piedi, così per gli autistici: occorre offrire loro il miglior training, i migliori metodi abilitativi, ma poiché la stragrande maggioranza di loro resterà comunque autistica, se pur a differenti livelli di gravità, occorre preparare per loro ambienti il più possibile favorevoli, adatti alle loro peculiarità, perché possano condurre la vita migliore possibile». Su questo concetto sono totalmente d’accordo: la visione di Mesibov mi sembra sanamente realistica e produttiva. In sostanza, dobbiamo sostenere e diffondere esattamente questa visione realistica: occorre convincere la gente che nella stragrande maggioranza le persone con autismo, anche se avranno ricevuto i migliori trattamenti e avranno conseguito grandi risultati in termini di miglioramento a tutti i livelli, resteranno comunque persone con gravi o gravissime difficoltà nella vita quotidiana e con un limitato grado di autonomia. Questo non significa affatto che per loro non debbano essere richiesti e attuati trattamenti intensivi, precoci, ecc., anzi. Non battersi per questi sarebbe come limitarsi a fornire ai disabili fisici le rampe di accesso per le carrozzine, disinteressandosi di tutte le altre questioni gravi che rendono difficile la loro vita. Devo dire che da noi stanno circolando molte prospettive illusorie sull’autismo, e i genitori vengono spinti a pensare che esistano metodi e interventi grazie ai quali il proprio figlio o figlia potrà “uscire dalla diagnosi”, “affrancarsi dall’autismo”, indipendentemente dal livello di funzionamento, ecc. Senza specificare che in tutto il mondo quelli che “escono dalla diagnosi”, che si “affrancano”, sono una ristretta minoranza. Così ristretta che oggi la scienza in tutti i Paesi avanzati dichiara l’autismo una condizione che dura tutta la vita. L’ossessione, poi, del portare il proprio figlio non verbale a saper parlare, quasi che un autistico che parla (e magari non comunica un fico secco) sia uno che ha realizzato la soluzione del suo problema, viene alimentata in modo più o meno consapevole anche da molti di coloro che diffondono metodologie corrette cognitivo-comportamentali. In moltissimi convegni, congressi e corsi vengono fatti vedere video che mostrano grandi progressi, bambini che non partlavano e ora parlano, bambini che cambiano in meglio radicalmente il loro comportamento, ecc. Sono certamente risultati importanti, da far conoscere, sono metodi testati scientificamente e che devono essere ulteriormente sviluppati, perché anche in questo campo la ricerca non ha mai fine. Ma i video che in questi corsi e congressi vengono fatti vedere sono solo quelli che documentano i successi. Quel che fallisce, quello che va male, i regressi, le difficoltà non superate, quasi mai vengono esposti. Aleggia dunque sempre, inevitabilmente, il sospetto del publication bias, ovvero il sospetto che venga fatto vedere solo quello che fa bene alla causa, solo quello che motiva i genitori e gli operatori. Ma la realtà dell’autismo è molto più complessa e intricata, e l’atteggiamento di coloro che mostrano solo gli splendori di un metodo, che promettono “uscite dalla diagnosi” e “affrancamenti”, e che semplificano la complessità enfatizzando solo alcune aree del problema autismo, occupandosi unicamente di una fase della vita o di un singolo aspetto, perdendo di vista l’insieme, promuovono invece una uscita dal realismo gravida di conseguenze negative.


L’autismo come territorio di falsi profeti e capri espiatori

22/06/2012

Nell’ultimo numero della rivista quadrimestrale Problemi in psichiatria compare un mio scritto col titolo Idee per l’autismo. Ne riporto un passo.

Fin dal suo emergere come una questione specifica e mondiale, l’autismo si è presentato come un territorio di forte conflittualità. Dura è stata infatti la lotta delle prime grandi associazioni di familiari, che hanno avuto un ruolo decisivo negli ultimi decenni del secolo scorso, una lotta contro le convinzioni radicate e per i diritti delle persone con autismo, che non è ancora cessata. Oggi il conflitto presenta, tuttavia, molte facce, e appare anzitutto come scontro tra scienza ufficiale e pratiche alternative. Molti genitori di soggetti autistici vivono il loro grave problema in solitudine, nel loro isolamento. Altri si muovono alla disperata ricerca di una soluzione, vagano nell’Internet, incontrano casualmente altri genitori, scoprono che esistono delle possibilità di guarigione offerte dalla scienza borderline, dalle pratiche alternative, e vi si gettano a capofitto, disposti anche a spendere tutti i propri denari. Occorre ricordare sempre che in questi decenni le famiglie con figli autistici hanno vissuto ogni sorta di difficoltà. Prima l’imperante cultura psicodinamica e psicoanalitica a lungo ha colpevolizzato le stesse famiglie, e in particolare le madri, riconducendo l’autismo del figlio ad un inconscio rifiuto dello stesso da parte loro, aggiungendo dramma a dramma (con libri come La fortezza vuota di Bruno Bettelheim che hanno sparso un seme malefico in moltissime menti). In seguito, con ritmo crescente, un susseguirsi di “scoperte” e tecniche nuove hanno riempito i cuori di false speranze, inducendo le famiglie a illudersi e a profondere energie e denari in operazioni prive di qualsiasi riscontro scientifico e di qualsiasi effetto terapeutico e abilitativo reale, e talvolta addirittura fuorvianti o nocive. Per questo, occorre stare costantemente in guardia, poiché i falsi profeti dell’autismo sono sempre all’opera, e passano dalla bufala della Comunicazione Facilitata a quella del protocollo Dan!, da quella della secretina a quella della camera iperbarica, sfuggendo sempre al controllo scientifico rigoroso e sfruttando invece la frustrazione delle famiglie, le falle del sistema sanitario ufficiale, il bisogno di speranza, la disponibilità ad illudersi e anche il facile strumento della teoria del complotto. L’autismo, a livello mondiale e italiano, si presenta oggi anche come campo di possibili buoni e grandi affari, in cui prosperano i ciarlatani e si diffonde la junk-science, la scienza-spazzatura, a causa del vuoto nel quale i sistemi socio-sanitari pubblici lasciano le famiglie: vuoto di informazione, di risposte efficaci, di sostegno e anche di pura e semplice umanità. Leggi il seguito di questo post »