CI RISIAMO COL BOZZOLO.

18/12/2018

L'immagine può contenere: una o più persone

Fabio Brotto

Questa è una pagina del Sole 24 Ore del 9 dicembre scorso, che mi è capitato di leggere oggi. Si tratta di una inserzione pubblicitaria della Sacra Famiglia di Milano. Dove l’autismo è trattato da molto tempo, e dove operano famosi specialisti del campo, celebrità nel mondo dell’intervento comportamentale. Eppure, sì, ci risiamo. Qui si parla ancora dell’autismo in termini che definire “scientificamente poco fondati” significa trattenersi dall’usare forme di espressione più, diciamo, robuste. Cosa si legge in questa pagina dunque? Anzitutto questo, una definizione dell’autismo che da anni non sta più né in cielo né in terra ma solo nella testa di qualche psicanalista residuale: UNA IPERSENSIBILITA’ AL MONDO CHE INDUCE UNA FUGA IN UN BOZZOLO PERSONALE DENTRO IL QUALE SEMBRA IMPOSSIBILE ENTRARE. UNA GABBIA PER LUI E PER I GENITORI. Stupefacente, roba da non credere ai propri occhi. “Ipersensibilità al mondo”. Capite? Al mondo intero. Forse simile a quella di alcuni poeti malinconici e introspettivi? Ma dove siamo? Anni e decenni di scienza e ricerca sono passati invano? Ipersensibilità che “induce una fuga”. Vaghezza di concetti, termini semi-letterari che non comunicano nulla, se non un immenso problema: se la Sacra Famiglia è a questo punto, se si propone in questi termini, una quantità di tempo e di energie immisurabile è stata spesa invano, e le famiglie degli autistici hanno poco da sperare. Perché anche l’aggiunta finale, che dovrebbe essere propositiva, suona vaga e priva di sostanza, ed è del tutto incomprensibile al grosso pubblico. “Riuscire a vederlo prima, capirlo prima, comunicarlo prima, sono l’unico modo di ridurre la sofferenza”. Autismo come sofferenza, e basta? Non aggiungo parole, amen.


Contro Autism Speaks

26/10/2016

sparrow_edgedQuesto articolo di Unstrange Mind (pseudonimo di Sparrow Rose Jones), di cui pubblico qui la traduzione, mi pare molto importante per più di un motivo. Anzitutto perché, denunciando e smascherando i veri scopi dell’azione di Autism Speaks, una delle più note organizzazioni che nel mondo si occupano di autismo, espone i pericoli che siffatti organismi spesso rappresentano per le cause che dovrebbero promuovere, soprattutto nel momento in cui la raccolta fondi si impone attraverso campagne mediatiche e tende a divenire la ragion stessa di essere dell’organizzazione. Della serie non tutto è oro quel che luccica. E in Autism Speaks tutto luccica, e forse anche nella nostra penisola non mancano associazioni e fondazioni in cui lo scintillìo superficiale copre l’inconsistenza dell’azione e il prevalere delle ragioni del mero fundraising. Ma, in secondo luogo, l’articolo è importante perché Unstrange Mind, una persona che è, come si usa dire oggi, nello spettro dell’autismo, mette in luce un cuore di tenebra che si annida sotto la veste scintillante di Autism Speaks: l’autismo concepito come nemico da eradicare, da annientare, per cui ricercare non più cure, ma soluzioni: finali. E, in terzo luogo, perché questa donna e scrittrice autistica mette in evidenza la questione del diritto degli autistici a vedere rispettata la loro propria identità, che è una identità autistica. Questo testo mi conferma nella mia vecchia idea che l’autismo è anzitutto un problema non tanto medico-scientifico (lo è, ma non in prima istanza), quanto primariamente filosofico-politico. La domanda di fondo qui è: dove si pone il limite, se c’è, che separa l’ambito in cui è etico e lecito un intervento (di qualsiasi tipo e natura) volto a modificare una persona senza il suo consenso da quello in cui questo intervento di modifica e alterazione della persona – nel senso di renderla altra da quella che è – non è lecito?
La requisitoria di Unstrange Mind contro Autism Speaks è vibrante, efficace e convincente. Le sue parole andrebbero meditate da tutti coloro che, anche in Italia, si occupano di autismo. (Fabio Brotto)

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Non vi può essere sfuggito: l’annuncio che Autism Speaks ha eliminato dalla sua mission la parola cura è dovunque. Questa eliminazione è stata lodata come se rappresentasse un cambiamento epocale nell’approccio dell’organizzazione all’autismo, e come un segno che Autism Speaks sta iniziando a dare ascolto agli attivisti che per tanto tempo hanno respinto la mentalità della cura e richiesto ad Autism Speaks di fare altrettanto.
Solo che non c’è stato alcun cambiamento epocale, anzi: non c’è stato alcun cambiamento. Autism Speaks non ha cambiato nulla, se non il modo di esprimersi.
Guardiamo come enunciano la loro missione. L’atteggiamento mentale della cura è ancora al centro di tutto.

Autism Speaks è impegnata a promuovere soluzioni, ad ogni livello dello spettro e per tutta la durata della vita, per i bisogni degli individui con autismo e delle loro famiglie mediante patrocinio e supporto, incrementando la comprensione e l’accettazione del disturbo dello spettro autistico e portando avanti la ricerca sulle cause e sui migliori interventi per il disturbo dello spettro autistico e le condizioni relative.
Autism Speaks migliora le vite oggi, e sta promuovendo uno spettro di soluzioni per il domani.(https://www.autismspeaks.org/about-us/mission)

Permettetemi di spacchettare questa nuova scintillante espressione di intenti.
Ora Autism Speaks al posto di cure sta promuovendo soluzioni. E tuttavia una delle loro definizioni di soluzioni non solo è sinonimo di ciò che oggi si intende per cura, ma con la nuova terminologia è anche più agghiacciante. Ma sto anticipando troppo: vedrete in seguito cosa intendo dire.
Cura era linguaggio in codice — qualcosa come un fischietto per cani, perché è un linguaggio che si intende comprensibile a fondo solo da certe persone, proprio come i fischietti per i cani possono essere uditi solo da certe orecchie. Alla maggioranza delle persone cura suona bene. Quando senti la parola cura, tu naturalmente pensi ad un sollievo alla sofferenza. Pensi ad una cura per il cancro. Pensi ad una cura per il raffreddore. Tu pensi a scienziati umanitari dal cuore gentile che trovano modi per attenuare lo sconforto e allontanare la morte. Chi mai potrebbe essere contro una cura? Le cure sono un bene, e rendono le persone più sane e più felici.
Ma come apparirebbe una cura per l’autismo?
L’autismo è una differenza nella struttura e nel funzionamento del cervello. Tutte le differenze comportamentali che tu vedi, tutte le differenze nella percezione che noi sperimentiamo, dipendono da differenze nella struttura e nel funzionamento neurologico. Il cervello è la sede delle nostre identità umane individuali. Il possesso di un cervello autistico è l’autismo. Curare l’autismo significherebbe modificare i nostri cervelli. Forse questo potrebbe essere realizzato con molta attenzione, e qualcuno potrebbe curare il dolore e la nausea che io provo quando odo certi suoni senza rimuovere le parti musicali del mio cervello. Forse io potrei essere curata al punto di poter ascoltare il canto di un soprano senza che il mio intero corpo tremi per il dolore: ma se lo avessero fatto quando ero piccolissima, sarei stata in grado di leggere la musica a 4 anni, e di suonare al piano le sonate di Chopin e di comporre musica mia? Forse.
Forse io potrei essere curata in un modo così preciso e attento da non perdere regolarmente la capacità di parlare. Sarebbe bello essere liberata dalla necessità di dovere in alcune occasioni ricorrere alla tastiera per comunicare. Perché la gente quando io posso comunicare solo scrivendo non dimostra molta pazienza : mi inondano di parole, ignorano quello che gli ho risposto, mi fanno cinque nuove domande mentre io sto ancora scrivendo per rispondere alla prima, mi sovraccaricano e mi sopraffanno. Forse potrei essere curata in modo tale da non perdere mai più la parola senza contemporaneamente rimuovere quelle parti del mio cervello che mi rendono una scrittrice dotata. E io sono così brava con la parola scritta perché questa è il mio primo linguaggio, e la parola parlata per me è il secondo. Forse potrei essere curata in modo tale che la mia capacità di parlare rimanesse costante, senza perdere le mie doti di scrittrice. Che cosa sarei io se non fossi una scrittrice? Produrre parole scritte è una parte così profonda della mia identità personale. Chiunque mi abbia incontrata, mi abbia ascoltata, abbia visto i miei video su You Tube, sa che io parlo bene, ma scrivo molto meglio. Forse il mio mutismo intermittente potrebbe essere curato senza distruggere la mia scrittura. Forse.

Riuscite a vedere dove vi sto portando, vero? In realtà, per l’autismo non c’è nessuna cura. Una volta che i collegamenti nel mio cervello sono stati ordinati in questo modo, la traiettoria della mia vita si è orientata in modo divergente dalla maggior parte delle traiettorie intorno a me. Una volta che i collegamenti nel mio cervello sono stati disposti in una configurazione autistica, una cura potrebbe solo significare districare i miei neuroni e riassemblarli differentemente. Curare il mio autismo significherebbe del tutto letteralmente darmi una mente differente. E darmi una mente differente significherebbe quasi letteralmente cancellare quella che sono. Una cura per una persona autistica vivente è impossibile, perché quando tu operi dei cambiamenti così grandi nel cervello di una persona tu non la curi: tu la rimuovi e la rimpiazzi con una persona differente, che potrebbe (o potrebbe non) condividere i suoi ricordi. Se vi piace la fantascienza, leggete il romanzo di Elizabeth Moon The Speed of Dark, per avere un esempio sinistramente realistico di quel che potrebbe proporsi come cura dell’autismo.

Così ora sento che ci sono persone che lodano Autism Speaks perché ha rimosso la parola cura dalla sua missione. Ma c’è stato un cambiamento reale? Guardiamo la loro parola nuova, soluzione, e vedremo perché questa mi spaventa molto più della cura. « Autism Speaks è impegnata a promuovere soluzioni »… dunque andiamo a vedere dove vanno a parare.

1. ad ogni livello dello spettro
2. per tutta la durata della vita
3. per i bisogni degli individui con autismo
4. per loro famiglie
5. mediante patrocinio e supporto
6. incrementare la comprensione e l’accettazione del disturbo dello spettro autistico
7. portare avanti la ricerca sulle cause del disturbo dello spettro autistico e delle condizioni relative.
8. portare avanti la ricerca sui migliori interventi per il disturbo dello spettro autistico e delle condizioni relative.

Ed ecco qua la vecchia missione, per un confronto:
« Noi siamo impegnati nel finanziamento della ricerca biomedica globale sulle cause, la prevenzione e la possibilità di cura dell’autismo. Noi ci sforziamo di destare una consapevolezza pubblica dell’autismo e dei suoi effetti sugli individui, le famiglie e la società. Noi lavoriamo per portare speranza a tutti quelli che debbono confrontarsi con le difficoltà create dal disturbo. »

1. Ad ogni livello dello spettro

Se queste parole significano davvero quello che dicono, questo sarebbe un cambiamento epocale veramente degno di essere pubblicizzato al massimo. Io sono sospettosa di tutta questa attenzione sulla rimozione della parola cura, quando ad ogni livello dello spettro rappresenta un cambiamento molto più grande. Perché nessuno parla di questo?
Per anni, a quelli di noi autistici che potevano comunicare usando parole, parlate o scritte, si è imposto di stare seduti e zitti. Autism Speaks non stava parlando di noi, ci si diceva. Autism Speaks stava parlando solo di quei poveri sfortunati che non potevano parlare per se stessi. Sicuramente contavano anche noi tutte le volte che Autism Speaks voleva comunicare quanti erano i milioni di autistici per aiutare i quali l’organizzazione doveva raccogliere fondi. Loro volevano soltanto che ci lasciassimo contare come corpi caldi per i loro propositi di raccolta fondi. Volevano che noi fossimo soltanto corpi caldi e silenziosi. Silenzio, autistici! Non ostacolateci mentre ci diamo da fare per aiutarvi!
Se Autism Speaks intende davvero offrire soluzioni ad ogni livello dello spettro, dovrebbe guardare a quanti di noi sono senza casa e soffrono la fame. Dovrebbe guardare a quanti di noi scivolano attraverso le falle dei servizi perché là per noi non c’è niente. Dovrebbero occuparsi di fare in modo che le università dispongano tutti gli accomodamenti necessari perché gli studenti autistici vi possano vivere e studiare bene. Ci sono tra gli autistici immensi bisogni senza risposte, di cui tradizionalmente Autism Speaks ha imposto di non parlare. Se ora noi siamo realmente parte della loro missione, su questo punto faranno bene? O quelle parole sono state designate per chiuderci la bocca ancora una volta? « Ecco, vi abbiamo menzionato nella nostra missione. Adesso seduti e zitti. »

Metti i tuoi denari dove è la tua bocca, Autism Speaks! E con questo non intendo quel 1.167.786 di dollari speso in catering.
Quelli di Autism Speaks, mettendo diverse categorie nei suoi grafici a torta, amano farci pensare che stanno fornendo un sacco di supporto finanziario diretto alle persone con autismo e alle loro famiglie. Ci hanno detto di spendere 24 milioni di dollari per « servizi alle famiglie, campagne di sensibilizzazione e difesa » perché questa formulazione nasconde i settori specifici. Nasconde l’effettivo ammontare della spesa per i servizi alle famiglie: 4,6 milioni, contro la somma che è andata in pubblicità: 52 milioni. Nasconde quanta di quella pubblicità, sensibilizzazione e difesa sia stata spesa nella promozione di programmi come MSSNG, che insegna al mondo che negli autistici ci sono pezzi mancanti. Notate quello che hanno scelto di lasciar fuori dalla parola MISSING: noi autistici perdiamo la « I » – l’identità, l’umanità, l’Io.

E quali sarebbero i pezzi mancanti che il MSSNG sta scoprendo? Autism Speaks sta sequenziando migliaia di genomi. « Le migliori menti della ricerca si accingono a esplorare questo database di DNA affinché noi possiamo scoprire e comprendere i diversi sottotipi dell’autismo. Successivamente potremo lavorare nello sviluppo di trattamenti e terapie personalizzati, al fine di migliorare la qualità della vita per tante persone che hanno bisogno di aiuto. » – Liz Feld, Presidente di Autism Speaks.

Trattamenti e terapie personalizzati? Sarebbero splendide notizie per tutti, autistici e non, se questo fosse quello che realmente stanno facendo. Un terzo degli autistici soffre di epilessia, così tutte le persone epilettiche saranno contente perché questi trattamenti personalizzati potranno aiutare anche loro. Come anche tre quarti degli autistici soffrono di disturbi del sonno clinicamente rilevanti, e questo significa che quel 25% della popolazione generale con disturbi del sonno esulterà perché questi trattamenti personalizzati potranno aiutare anche loro. Se il MSSNG sta realmente facendo quello che dice, il mondo intero si feliciterà, perché le cose di cui soffriamo noi autistici non riguardano esclusivamente l’autismo. Ogni trattamento o terapia personalizzati sulla nostra genetica aiuterà migliaia di non-autistici che soffrono degli stessi problemi.

Solo che io non sono tanto convinta. Che cosa state sviluppando, voi di Autism Speaks? Potrò essere sottoposta ad un test genetico e quindi ricevere trattamenti mirati per i problemi digestivi, il disturbo neurologico del ritmo circadiano del sonno, la disprassia, l’ansia, il disturbo del tessuto connettivo, che sono gli autostoppisti genetici che mi sono saliti a bordo, i compagni di viaggio della mia genetica autistica? Sarebbe un sogno che diventa realtà — non solo per me, ma per milioni di altre persone di tutti i profili neurologici che anche loro soffrono queste condizioni e potrebbero condividere la stessa particolare genetica legata ad esse.
Io penso piuttosto che il MSSNG sia parte di quella mentalità della cura che Autism Speaks sostiene di avere scartato cambiando la terminologia della sua missione. Penso che il MSSNG sia indirizzato a individuare l’autismo fin nell’utero materno. E penso che il MSSNG sia indirizzato ad una soluzione per l’autismo… Io penso che il MSSNG sia indirizzato a rendere i futuri bambini autistici tanto mancanti quanto quello stimato 80% di bambini con sindrome di Down che vengono abortiti, grazie ai test genetici.

Dimostratemi che mi sbaglio. Aggiustatemi la digestione e il tessuto connettivo e il mio sonno, che sono messi assai male. Per favore, dimostratemi che sbaglio. Io faccio parte di quello spettro di cui ora dite che intendete occuparvi nella sua interezza. Mostratemi le soluzioni.

2. Per tutta la durata della vita

Questo è un altro « ci crederò quando lo vedrò ». Ancora oggi il mondo intero quando parla di autismo pensa ai bambini. Lo pensa così tanto che noi non cresciamo neppure davvero, diventiamo bambini adulti. Se ora Autism Speaks si dedica davvero alle soluzioni per l’intero corso della vita, bisogna che si cominci a vedere più spesso la parola adulto. Da solo, come sostantivo. Non come un aggettivo a modificare il sostantivo bambino. Noi cresciamo e abbiamo bisogno di aiuto.

Cosa farete per quel 10% di adulti autistici che incappano nel sistema penale? Cosa farete per quel 10% di adulti autistici che finiscono senza casa? Che cosa farete per quegli adulti autistici che sono giudicati a funzionamento troppo alto per ottenere servizi, ma a funzionamento troppo basso per essere aiutati dalla Vocational Rehabilitation? Che cosa farete per tutti quegli adulti autistici che languiscono nelle strutture di lavoro protetto perché nessuno si preoccupa di loro abbastanza da aiutarli ad entrare nella forza lavoro principale con stipendi reali? Cosa farete per gli adulti autistici che sono stati chiusi in istituti, e che con adeguati supporti potrebbero vivere autonomamente all’interno della comunità?

Autism Speaks, voi state succhiando un sacco di soldi dalle comunità locali, al ritmo di 122 milioni di dollari all’anno, e in servizi effettivi ne restituite solo 4. Voi potete cambiare fin che volete la terminologia della vostra missione, ma finché non inizierete ad aiutare le migliaia di adulti autistici che sono senza casa, affamati, o in galera, perché per loro non c’era nessun posto dove rifugiarsi e nessun servizio disponibile (perché per aiutarli non c’erano soldi, dal momento che erano finiti tutti ad Autism Speaks), fino ad allora la nuova formula della vostra missione non sarà nient’altro che parole, aventi il solo fine di intimare a voce più alta e con maggior elganza il solito « seduti e zitti! » a quelle fastidiose persone con autismo che hanno realmente bisogno di quell’aiuto che voi amate sostenere di essere impegnati a fornirgli.

3. Per i bisogni degli individui con autismo

Oh, sì, per i nostri bisogni.
Noi abbiamo bisogno di scuole accoglienti, dall’asilo all’università. Abbiamo bisogno di supporti e di adeguata sistemazione per poter frequentare la scuola dentro la comunità, non in segregazione. Abbiamo bisogno di programmi basati sulla comprensione del fatto che i nostri bisogni accademici e quelli sociali possono stare su livelli radicalmente differenti, e che bisogna guardare ad entrambi, altrimenti sarà un fallimento per noi e, per estensione, per l’intera società. Abbiamo bisogno che di noi si parli in termini rispettosi, certo non definendoci uno tsunami o un fattore di crisi della sanità pubblica. Abbiamo bisogno che non si paragonino i nostri cervelli al cancro, all’AIDS e al diabete. Che non ci si chiami una malattia. Di non essere rappresentati come una minaccia incombente di distruzione delle famiglie, della società, dell’economia e di tutta la civiltà.
Abbiamo bisogno di un reale accesso alle cure mediche, che le nostre comorbilità non vengano accantonate con un « è solo un aspetto dell’autismo », abbiamo bisogno di non essere sottoposti a trattamenti ciarlataneschi, come clisteri di candeggina, chelazione o vermi. Abbiamo bisogno di professionisti della medicina che si prendano il tempo necessario per comprendere quali siano le barriere che ci impediscono l’accesso ai servizi sanitari e lavorino insieme a noi per superarle. Abbiamo bisogno che si capisca che il fatto di possedere la comunicazione verbale non cancella automaticamente le nostre necessità di supporto, e abbiamo bisogno che si capisca che non avere la comunicazione verbale non cancella automaticamente ogni nostra intelligenza e autonomia.
Abbiamo bisogno di spazi sicuri dove vivere, accesso alle persone che amiamo, adeguato cibo sano da mangiare. Abbiamo bisogno di non essere isolati dalla comunità. Abbiamo bisogno che non si invada la nostra autonomia. Abbiamo bisogno che si aiutino a trovare un impiego quelli di noi che possono lavorare, e che si dia supporto finanziario a quelli di noi che non possono. Tutti noi abbiamo bisogno di supporto per le attività della vita quotidiana, e abbiamo bisogno che questi nostri bisogni di supporto siano riconosciuti, e rispettati anche se possono sembrare differenti da una persona all’altra.
Questo è soltanto per iniziare. Potete seguire questa linea guida, voi di Autism Speaks? Ora è nella vostra missione. Noi stiamo aspettando.

4. Per loro famiglie

La cosa di cui le nostre famiglie hanno più bisogno è di vedere che ci si prende cura di noi. I nostri genitori hanno bisogno di quella pace interiore che deriva dalla consapevolezza che quando loro non ci saranno più noi saremo al sicuro. Le nostre famiglie hanno bisogno di vedere che veniamo educati appropriatamente. Le nostre famiglie hanno bisogno di un livello di comprensione sociale dell’autismo tale da non essere tormentate dai vicini del condominio a cui la nostra presenza dà fastidio, tale che i nostri genitori possano andare a fare shopping o al ristorante insieme a noi senza essere giudicati cattivi educatori, tale che possano eventualmente pagare una persona competente che ci vigili in casa senza spendere una fortuna. Il fatto di presentarci come un peso terribile non aiuta le nostre famiglie. Definirci un elemento di crisi della sanità pubblica non aiuta le nostre famiglie. Incoraggiare terapie traumatizzanti che creano in noi problemi di ansia e disturbi post-traumatici non aiuta le nostre famiglie.

5. Mediante patrocinio e supporto

Sì, ma qual è il genere di patrocinio e supporto che avete in mente? Non abbiamo più bisogno di quel tipo di patrocinio e supporto che appare nel video intitolato I Am Autism. Non abbiamo bisogno che ci si dica che noi siamo MSSNG (su quelle due I che mancano stanno stendendo una cortina fumogena). Non abbiamo bisogno che ci si chiami uno tsunami, oppure lebbrosi, o che ci si dica che siamo puri e innocenti perché non diamo valore al denaro. (Potrei mostrarvi un gran numero di adulti autistici che si interessano spaventosamente ai soldi perché non ne hanno abbastanza per pagare l’affitto).
Come intendete patrocinarci, ora? Il vostro supporto sta per cambiare? State per spendere di più di quel miserabile 3% dei vostri introiti che attualmente erogate in servizi per noi e per le nostre famiglie? Le persone che con tanta passione dedicano volontariamente il loro tempo e le loro risorse per organizzare le vostre manifestazioni per raccolta fondi lo sanno che per ogni dollaro che raccolgono solo tre centesimi tornano effettivamente alla comunità?
Perché si possa prendere sul serio questa vostra nuova missione, cari amici di Autism Speaks, voi dovrete fare molto meglio di quanto abbiate fatto finora nel campo del patrocinio e del supporto. Dove sono le vostre soluzioni che vengono mediante il patrocinio e il supporto? Che cosa state progettando di risolvere?

6. Incrementare la comprensione e l’accettazione del disturbo dello spettro autistico

Questo è il punto in cui le vostre soluzioni cominciano a suonare come qualcosa di più che parole alla moda, amici di Autism Speaks. Voi vi siete attaccati alla parola accettazione senza comprendere il suo significato. Io so che non lo comprendete, altrimenti, se aveste compreso il significato reale di accettazione, non l’avreste mai elencata tra le vostre soluzioni.
Sì, noi per anni abbiamo invocato accettazione. Abbiamo richiesto accettazione per gli autistici! E voi ora invocate accettazione per il disturbo dello spettro autistico? Seriamente?
Acettare gli autistici significa accettare il fatto che spesso il nostro aspetto e la nostra voce e le nostre preferenze sono diversi da quelli delle altre persone, ma nondimeno noi meritiamo altrettanta dignità e altrettanto rispetto. Accettare gli autistici vuol dire lavorare con le nostre forme di forza e di debolezza per aiutarci a trovare la nostra strada in questo mondo cangiante e caotico. Accettare gli autistici significa lasciarci un posto a tavola. Noi meritiamo di vivere indipendentemente dentro la comunità, con tutti i supporti necessari per questo. Noi meritiamo un’opportunità di lavoro, di istruzione, di avere una famiglia, di costruirci una vita piena di senso — di senso secondo la nostra prospettiva e i nostri bisogni e desideri, non piena di senso secondo il vostro giudizio, la vostra idea di come noi dovremmo vivere.
Voi richiedete accettazione per il disturbo dello spettro autistico. Ma che cosa significa? Come potrebbe aiutarci? Noi siamo differenti e disabili ma non disturbati, e non ci serve che voi accettiate un disturbo: ci serve che voi accettiate noi. Se avete delle soluzioni reali, devono riguardare l’accettazione di noi come persone, non l’accettazione di un disturbo.

7. Portare avanti la ricerca sulle cause del disturbo dello spettro autistico e delle condizioni relative

Qui! Qui! Qui! Il punto è proprio qui! Ecco il motivo per cui la vostra nuova missione è molto più terrificante che la ricerca di una cura. Qui si vede perché la vostra enfasi sulle soluzioni è così agghiacciante per me! Volete studiare le cause dell’autismo? Vi dedicate alla promozione di soluzioni legate alla scoperta delle cause dell’autismo??? E se voi trovaste quello che causa l’autismo, che soluzione progettereste? Perché nella mia testa ogni volta che io penso alle vostre soluzioni per le cause dell’autismo risuona la parola finale? Questo è il motivo per cui non mi fido della vostra nuova scintillante missione. Questa missione è per ogni aspetto tanto radicata nella mentalità della cura quanto lo era la precedente. Questa è solo un fischietto da cani per il test pre-natale e il successivo aborto degli autistici. Per questo io leggo la vostra nuova missione e vedo ancora una immensa organizzazione che drena tutti i soldi dalle comunità locali — soldi che avrebbero potuto aiutare noi, le nostre famiglie, le nostre scuole, le nostre aspirazioni, il nostro futuro — e usa quei soldi per ricercare il modo di ucciderci prima della nascita.
Per questo io dico che voi non avete cambiato un accidenti di niente. Avete soltanto passato una mano di vernice fresca sopra la stessa terrificante agenda eugenetica che avete sempre avuto, amici di Autism Speaks. Vi siete limitati a rimuovere cura dalla vostra missione. Non avete rimosso l’odio verso la nostra esistenza. Potrete aver tratto in inganno altre persone, non me.

8. Portare avanti la ricerca sui migliori interventi per il disturbo dello spettro autistico e delle condizioni relative

Ecco il nuovo tormento: uguale al vecchio. Si tratta di migliori interventi che ci strappano via più efficacemente la nostra autonomia, lasciandoci ancora più vulnerabili ai predatori? O è un supporto ulteriore per centri di trattamento che usano su di noi l’elettroshock? O sono i migliori interventi che anzitutto mirano a prevenire la nostra nascita?
No, grazie, Autism Speaks. Per me voi dovete fare di più che elaborare qualche slogan perché ci possiamo fidare di voi. Davvero, io penso di essere d’accordo con quei miei amici che hanno detto che la sola cosa che dovreste fare per ottenere la nostra fiducia a questo punto è smantellare la vostra organizzazione e donare tutto il vostro denaro ad altre organizzazioni che siano guidate da autistici e facciano il vero lavoro di rendere migliori le nostre vite qui e ora.
A chi importa quale sia la causa dell’autismo? Che bene fa agli autistici apprendere perché esistono come tali? Tutti noi riceviamo servizi gravemente insufficienti — tutti noi ad ogni livello dello spettro e per tutta la durata della vita oggi non riceviamo quanto ci necessita per vivere bene, e voi raccogliete soldi e impegno di volontari che potrebbero aiutare a colmare i vuoti, e li gettate in una ricerca mirata ad annientarci.
No. Non avete cambiato un accidenti di niente. Io continuo a non fidarmi di voi. E nemmeno dei vostri sostenitori.
E tutte le missioni più attentamente articolate del mondo non basteranno a cambiar questa realtà.

1. https://www.autismspeaks.org/sites/default/files/docs/final_autism_speaks_2014_28229.pdf
2. https://www.autismspeaks.org/sites/default/files/docs/annual_report_9-11.pdf
3. https://www.autismspeaks.org/science/science-news/autism-speaks-launches-mssng-groundbreaking-genome-sequencing-program
Media Representation, political


Words say little about cognitive abilities in autism | Spectrum

08/09/2016

Nearly half of children with autism who speak few or no words have cognitive skills that far exceed their verbal abilities, according to the largest study of so-called ‘minimally verbal’ children with autism to date1. The findings call into question the widespread assumption that children with autism who have severe difficulty with speech also have low intelligence.

Source: Words say little about cognitive abilities in autism | Spectrum


Io amo mio figlio, non il suo autismo

10/10/2015

teen boy portrait

di

In response to John Robison, “Psychology Today,” “Does Neurodiversity Whitewash Autism?” (Sep 29, 2015)

C’è un vecchio detto: “scrivi di quello che conosci”. E John Elder Robison lo fa, e lo fa benissimo. Anche quando mi trovo in disaccordo con lui, Robison rimane lo scrittore con autismo che preferisco, uno che descrive l’autismo dall’interno con bravura, intelligenza e umorismo. Di recente, tuttavia, Robison ha scritto di qualcosa che non conosce: mio figlio Ben.
Anche Ben ha l’autismo. Quando scrivo di Ben e del suo autismo, io sono un esperto. A causa dei grandi cambiamenti nel significato della parola stessa che sono intercorsi da quando Ben fu diagnosticato, nel 1995, io di solito mi riferisco alla sua condizione come autismo severo. Io non parlerei mai di Robison e della sua esperienza al posto suo, voglio solo imparare dalle sue parole. Lui ci fornisce la possibilità di penetrare nel mondo interiore del nostro stesso figlio. O almeno noi pensiamo che ce la fornisca. Ma Ben, un giovane uomo di 22 anni, non può esprimersi come fa Robison. Anzi, è ben lungi dal poterlo fare.
Io sono decisamente un genitore che ama suo figlio e odia il suo severo autismo. Quando dico che l’autismo di Ben è un disturbo distruttivo che noi odiamo, il mio non è un semplice sfogo, come lo etichetta Robison. Come potremmo NON odiarlo? Da quando aveva 12 anni, l’autismo ha impedito a Ben di essere in grado di vivere con la sua famiglia, e perfino nello stesso Stato, perché necessita di un’assistenza continua e attenta. Dopo decenni di lavoro con lui da parte di professionisti specializzati, la vita di Ben rimane estremamente limitata. Lui necessita di assistenza 24 ore su ventiquattro, 7 giorni su 7, e non si vede alcun segno che questo un giorno possa cambiare. Ben dipende dagli altri… quasi per ogni cosa. Quando la sua mamma e io saremo morti, questa dipendenza dagli altri rimarrà, e questo fatto terrorizza tutti i genitori come noi.
Per Ben e per molti come lui non è una semplice faccenda di disabilità intellettiva e di basso QI. In effetti, l’intelligenza di base di Ben forse è molto più alta di quel che riesce a comunicare. I problemi di comunicazione che discendono dal suo autismo severo (ebbene, sì, con lui sono stati utilizzati molti strumenti e tecniche di comunicazione, che hanno aiutato fino ad un certo punto) alimentano le sue ansie, che sono nel nucleo del suo funzionamento. Che si tratti del suo frequente camminare avanti e indietro, o di un occasionale comportamento aggressivo, tutto deriva, almeno in parte, da paura e ansia, e dall’incapacità di esprimerle e controllarle. Sentirsi tesi e ansiosi fin dal momento in cui gli occhi si aprono la mattina, per motivi fisiologici che non si possono controllare, in aggiunta ad un’estrema difficoltà di comprendere gran parte di quello che noi diamo per scontato minuto per minuto nella nostra vita – semplicemente immaginarlo mi sconvolge. Ma noi abbiamo dovuto fare di più che immaginarlo. Noi lo abbiamo visto, sentito, e combattuto per tutta la sua vita. Non lui, Ben, ma il nemico di nostro figlio, il suo autismo.
Non mi sogno nemmeno di dire a Robison o a chiunque altro sente come lui che il suo autismo, gli piaccia o meno, è un disturbo. Ma l’autismo severo di Ben è un disturbo distruttivo. Come analogia, Robison cita il divorzio e dice che “ai genitori si raccomanda di non criticare l’ex coniuge davanti ai bambini, perché quei bambini sono per metà lui (o lei)” e dire alle persone con autismo “che voi lo odiate è corrosivo come dire che voi odiate il nostro altro genitore”. Nel mio lavoro come psicologo, e direttore per 25 anni di servizi di protezione dei bambini e mediazione nei casi di divorzio, ho dato lo stesso consiglio letteralmente, migliaia di volte, e vedo tra questi due mondi un’analogia differente. Criticare l’altro genitore in un divorzio non è lo stesso che criticare l’autismo. Mantenendo l’analogia del divorzio, l’autismo non è l’altro genitore, l’autismo è il divorzio stesso. È l’autismo severo la causa della misera vita di Ben, e non la nostra opinione sull’autismo. Una persona non sceglie mai di avere l’autismo, anche se vive un’esistenza in cui lo gestisce con successo, o anche se esso le conferisce qualche capacità superiore, e un bambino praticamente mai sceglie per i suoi genitori il divorzio, perfino quando il divorzio può rappresentare un beneficio per tutte le parti coinvolte.
Robison crede che “se tu non sei autistico, non spetta a te odiare o giudicare”. Sono d’accordo, se si considera l’autismo non un disturbo ma una differenza. Odiare qualcuno o qualcosa soltanto per il suo essere differente è orribile. Ma anche l’autismo severo di Ben è orribile. Per tutto quello che ha distrutto, odiarlo non lo è. Odiarlo è naturale.

Pubblicato su Huffington Post

Nota del traduttore Fabio Brotto

In questo post di David Royko si vede nitidamente quella che secondo me oggi è la questione decisiva nel mondo dell’autismo: quella della differenza. Ma non si tratta della differenza tra autistici e neurotipici, bensì della differenza qualitativa tra l’autismo ad alto/altissimo funzionamento e quello severo. Tra neurodiversità e disturbo, tra una mente diversa e una mente disabile, c’è un abisso. Vogliamo riconoscerne l’esistenza?


Diagnosi aumentano, diagnosi calano

19/08/2015

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di Joshua A. Krisch

Prima del 1975 di autismo non si sentiva parlare: la diagnosi riguardava 1 soggetto su 5.000. Nel 2002 negli USA il numero delle diagnosi era schizzato a 1 su 150. Nel 2012 erano 1 su 68. I genitori disperati di volta in volta hanno accusato le scie degli aereigli OGM e i vaccini per l’impennata dei casi di autismo. Ma secondo un nuovo studio pubblicato nell’ American Journal of Medical Genetics sembra che la realtà sia molto diversa da quella prospettata dalle ultime teorie della cospirazione.
Ecco com’è andata. Prima del 1975 ogni anno i medici esaminavano migliaia di bambini che manifestavano segni di autismo – quel tipo di sintomi nello spettro dell’autismo che qualsiasi specialista attuale riconoscerebbe come tali. Ma allora i medici classificavano i bambini autistici semplicemente come “disabili intellettivi” o “affetti da disturbo dell’apprendimento”. Negli USA quei bambini a scuola ricevevano un trattamento speciale secondo lo Individuals with Disabilities Education Act, la stessa norma che riguarda gli autistici, ma non erano mai ufficialmente etichettati come autistici. Negli ultimi 15 anni la nostra comprensione dei Disturbi dello Spettro Autistico si è sensibilmente evoluta, e a causa di alcune recenti e controverse modifiche al Manuale Statistico e Diagnostico (DSM-V), sono stati diagnosticati come autistici più bambini che mai, perché ciò che costituisce l’autismo è stato ridefinito. Questo può ingannare i genitori, inducendoli a pensare che l’autismo stia realmente aumentando, anche se così non è. I Centers for Disease Control and Prevention lo sostengono da anni, ma finora non vi erano molti dati scientifici a supportare questa tesi. Così alcuni ricercatori hanno mappato il numero dei bambini che  hanno beneficiato dell’educazione speciale tra il 2000 e il 2010, e hanno trovato che mentre per tutto il decennio il numero complessivo dei bambini con bisogni speciali è rimasto costante, quello dei bambini con diagnosi di autismo è aumentato di cinque volte. Questo indica che l’aumento dei casi di autismo è dovuto ad uno spostamento nella classificazione, non rispecchia una crescita reale del numero di chi ha l’autismo. In altre parole, negli USA il numero delle persone con autismo è sempre più o meno lo stesso, solo che una volta non si usava l’etichetta autistico. Adesso che ne sappiamo di più, lo diagnostichiamo più spesso. “La diagnosi è molto complessa, e questo influenza la percezione della prevalenza dell’autismo e dei disturbi connessi” afferma Santhosh Girirajan, il professore di biochimica della Penn State University  che ha guidato la ricerca. “Ogni soggetto è differente, e come tale va trattato”.


La scuola per un normale autistico

15/07/2015

Questo articolo di Gianluca Nicoletti è molto interessante sotto diversi aspetti. Ne richiamerò qui due. Anzitutto è interessante perché fa risaltare ancora una volta la grande distanza che sempre esiste in Italia tra la validità dei princìpi, solennemente espressi dalle leggi, e la messa in atto degli stessi sul piano della vita quotidiana. L’inclusione scolastica delle persone con autismo, ad esempio, è uno dei campi in cui questa distanza è palpabile, in cui i soggetti autistici e le famiglie sperimentano massimamente la radicale estraneità tra la proclamazione e l’atto. Qui sta anche, e se non lo si capisce è meglio rinunciare a farsi interpreti dei bisogni delle persone autistiche, il motivo dello scarso entusiasmo con cui la stragrande maggioranza di coloro che vivono queste problematiche hanno accolto l’approvazione alla Camera del disegno di legge sull’autismo. Il loro scetticismo è razionalmente fondato, ma anzitutto è una pianta fatta crescere dall’esperienza di vita.
Il secondo aspetto è ancora più importante, e riguarda la comprensione generale di ciò che intendiamo quando diciamo autismo. Qui tocchiamo un tema su cui non cesserò di battere finché avrò fiato. L’ampiezza dello Spettro, infatti, fa sì che vi si comprendano persone che hanno caratteristiche e bisogni abissalmente lontani. Tra un autistico a basso funzionamento con capacità cognitive ridottissime ed un autistico ad altissimo funzionamento appassionato di matematica e in grado di fare l’università la lontananza è siderale, e le condizioni di vita e i destini non sono minimamente paragonabili. Anche nella scuola, ove il soggetto ad altissimo funzionamento, con tutti i problemi che potrà avere nella socializzazione e nei rapporti interpersonali, non finirà fuori della classe, non sarà relegato in una stanzetta, ecc. (Vi sarebbe qui da aprire poi un altro discorso: mio figlio Guido e altri come lui hanno assoluta necessità di disporre di un luogo appartato dove poter svolgere determinate attività, ecc.). Ma è evidente che il pericolo che corrono i genitori di persone autistiche è sempre anzitutto quello di vedere la sindrome attraverso il filtro della propria vita vissuta: e così in questo articolo di Nicoletti il normale autistico è un soggetto averbale. Ma questo è un arbitrio terminologico che, anche se detto con ironia, non possiamo accettare, perché comunque genera confusione. Purtroppo ilnormale autistico non esiste, i termini autistico e autismo ormai tendono a sprofondare in una nebulosa di insignificanza, per emergere dalla quale è urgente che le famiglie dei soggetti a basso funzionamento facciano risaltare con forza la differenza dei loro figli. Non è certo omologandoli agli Asperger che potremo costruire per loro un futuro non disumano.

La scuola per un normale autistico, di Gianluca Nicoletti

Ho incontrato Paola per strada, il suo ragazzo autistico Gabriele quest’anno è stato promosso agli esami di terza media. Paola in piedi sul marciapiede di Viale Mazzini,  con le spalle al muro in un bollente pomeriggio d’estate, è fiera del diploma del figlio.  Per lei è stato abbastanza umiliante vederlo alle prese con una commissione che nulla sapeva di lui, che non parla e che non scrive. A Gabriele è stato chiesto di firmare il verbale d’ esame, lui ha fatto tre linee aiutato dalla madre.

Paola ricorda anni desolati di vita scolastica, anni che Gabriele ha passato in una stanza invece che in classe, con insegnanti di sostegno non sempre all’ altezza della sua reale inclusione. Nella maggior parte dei casi persone che non avevano mai visto un autistico prima di lui, che non avevano nessuna cognizione di come trattarlo, coinvolgerlo, aiutarlo a costruirsi la sua dignità scolastica.

Cosa è stata per Gabriele finora la scuola? Un parcheggio, un luogo di passaggio, un’ ipocrisia perché si affermi un principio molto bello e sacrosanto come quello dell’inclusione, che però per gli autistici come Gabriele quasi mai corrisponde alla sua  reale applicazione.

Ora Gabriele sarà iscritto a un liceo, uno qualsiasi, scelto solo in base alla speranza che gli possa capitare come sostegno una ragazza molto brava e che la madre conosce, che è stata assegnata a quel liceo. Per Gabriele ci sarà ancora una stanza dove passerà il tempo con qualcuno che lo guarda a vista. Non è un caso eccezionale, la prassi è per lo più questa. Solo  quando si ha la fortuna di incontrare insegnanti che si sono formati per loro passione, e dirigenti scolastici particolarmente illuminati, accade il miracolo che un autistico possa anche sentirsi parte di una classe di suoi coetanei.

Ragazzi che naturalmente hanno un passo diverso, ma pur sempre ragazzi come lui e con i quali avrebbe diritto di stare assieme, partecipare alle attività non solo scolastiche, andare in gita, vivere la sua adolescenza. Quello che per tutti gli altri è garantito per noi autistici è un obiettivo sempre lontanissimo e difficile. Quello che per gli altri  genitori  è un documento da incorniciare, il primo attestato di autonomia del figlio che cresce, per noi autistici è un pezzo di carta che sembra burlarci con voti messi a caso.

Non racconta nulla  dell’autistico un criterio di giudizio pensato per lo studente neurotipico, noi autistici siamo invalutabili quanto indicibili. Una medaglia di cartone o un diploma del club di Topolino avrebbero forse più senso di un documento che ci viene dato solo per formalità, che non corrisponde agli  anni  evaporati  dietro al banco di una scuola.

via La scuola per un normale autistico – Alla fine qualcosa ci inventeremo.


Comunicato stampa ANGSA VENETO-AT

31/12/2014

ATangsa

Di fronte all’ennesimo episodio di trattamento inadeguato di un bambino autistico nella scuola, questa volta verificatosi in un istituto comprensivo di Mogliano Veneto e riportato dalla stampa locale, le associazioni ANGSA Veneto onlus e Autismo Treviso onlus ribadiscono quelli che dovrebbero essere dei punti ormai solidamente acquisiti, ma risultano invece ancora alquanto precari.
1. Per una buona inclusione dei bambini e ragazzi con autismo nella scuola è necessaria una convinta, attiva e aperta collaborazione delle famiglie. Una impostazione a compartimenti stagni è del tutto disfunzionale e improduttiva. Le famiglie sono portatrici di un sapere sul proprio figlio che deve essere per quanto possibile condiviso con la scuola, e il lavoro svolto a scuola deve essere fatto conoscere alla famiglia, ma ancor prima le sue linee devono essere costruite insieme nel PEI. “Sinergia” è un concetto fondamentale, che spesso però non trova attuazione, e da questa non attuazione discendono a catena molti problemi.
2. Gli insegnanti curricolari devono essere coinvolti, ai compagni di classe e al personale non docente devono essere fornite le conoscenze e le competenze sull’autismo che servono per una buona inclusione. Se necessario, anche l’ambiente deve essere modificato secondo le particolari esigenze del soggetto autistico. Fondamentale è anche l’apporto professionale della neuropsichiatria infantile.
3. L’insegnante di sostegno ed eventualmente anche l’assistente assegnati all’allievo con autismo devono essere specificamente formati. Non è possibile lavorare su una disabilità così impegnativa se si è privi di ogni conoscenza in materia di autismo. Invece spesso questo ancora avviene: a soggetti autistici vengono assegnati insegnanti di sostegno digiuni di ogni nozione specifica e privi di esperienza, con conseguenze che possono essere disastrose, sia per il bambino o ragazzo sia anche per chi lavora con lui, come dimostrano i casi di burn-out e i casi più gravi di trattamento inadeguato, maltrattamento e violenza.

Auspichiamo  che il bambino possa riprendere la frequenza della scuola materna con le condizioni descritte. Ci conforta che l’insegnante sia stata sospesa dall’incarico.

Ringraziamo le persone  che sono state solidali con la famiglia segnalando i comportamenti inadeguati dell’insegnante. Esprimiamo la nostra vicinanza alla famiglia.

Fabio Brotto (Presidente Autismo Treviso onlus)

Sonia Zen (Presidente di Angsa Veneto onlus)


Correggere la ricerca sull’autismo

19/12/2014

John Elder Robison

Di John Elder Robison

Negli ultimi anni sono state pubblicate migliaia di ricerche sull’autismo. Con numeri così alti, si potrebbe pensare che noi tutti stiamo esultando per un grande progresso. E tuttavia molte persone—specialmente adulti con autismo—sono frustrate dalla scarsità dei benefici che si sono materializzati. Perché?
La risposta è semplice: stiamo studiando le cose sbagliate. Noi stiamo gettando milioni nella ricerca di una “cura”, anche se ora sappiamo che l’autismo non è una malattia ma piuttosto una differenza neurologica, una differenza che rende disabili alcuni di noi mentre a pochi altri dona capacità straordinarie. Molti di noi vivono con un mix di doti superiori e di disabilità.
La ricerca sulle cause genetiche e biologiche dell’autismo ha sicuramente un grande valore, ma è un’impresa a lungo termine. Il tempo che va dalla scoperta allo sviluppo di una terapia approvata dalla comunità scientifica si misura in decenni, mentre la comunità dell’autismo ha bisogno di aiuto subito.
Se noi accettiamo l’idea che le persone autistiche non sono ammalate ma neurologicamente differenti, l’obiettivo della ricerca cambia: da trovare una cura ad aiutare noi a conseguire la nostra migliore qualità di vita.
Ecco alcuni modi per farlo:
Possiamo intervenire sulle condizioni invalidanti che accompagnano l’autismo: ansia, depressione, epilessia, disturbi del sonno, problemi intestinali sono quelli più frequenti, ma ve ne sono altri.
Possiamo aiutare le persone autistiche ad organizzare la loro esistenza, a pianificare i loro orari, e a regolarsi in presenza di sovraccarico sensoriale. Molte delle cose che noi richiediamo—come spazi tranquilli e illuminazione non fastidiosa—sono confortevoli per tutti, ma per noi sono essenziali.
Possiamo offrire soluzioni tecnologiche per le cose che le persone autistiche non possono fare naturalmente. Qualche autistico non verbale riesce a comunicare con tablet, altri dialogano con un’assistente digitale come Siri. Ora stiamo vedendo macchine che leggono le espressioni anche quando noi non siamo in grado di farlo. I computer possono migliorare la qualità della vita di chiunque, ma noi siamo quelli che più di ogni altro possono trarre beneficio dalle tecnologie applicate. Noi abbiamo il dovere morale di fare tutto quello che possiamo per assicurare ai nostri fratelli più gravemente disabili il massimo di protezione, sicurezza e benessere.

Dunque, come potrebbe verificarsi questo cambiamento nella direzione della ricerca? Intanto noi possiamo attribuire una responsabilità effettiva a persone autistiche. Il fatto è che i ricercatori hanno trattato l’autismo come una disabilità infantile, mentre si tratta di una differenza per tutta la vita. Se la fanciullezza è solo un quarto della durata di una vita, allora i tre quarti della popolazione autistica sono rappresentati da adulti. Non è sensato allora che alcuni di noi vogliano assumere un ruolo nella determinazione del corso della ricerca che ci tocca direttamente?
Se tu sei un ricercatore interessato all’autismo—e vuoi realmente fare la differenza—apri un dialogo con persone autistiche. Chiedi loro che cosa vogliono e di cosa hanno bisogno, e ascolta.

John Elder Robison è persona autistica, professore al College of William & Mary e autore di Look Me in the Eye. Il presente articolo è pubblicato nella MIT Technology Review

Trad. Fabio Brotto


Autismo, “dopo di noi” e la nostalgia del futuro

14/09/2014

Loris (Lorenzo Gassi), "Paura e angoscia dell'autismo", 2001Un importante articolo di Gianfranco Vitale apparso su Superando.it offre abbondante materia di riflessione.

Può succedere, a volte, che i mass-media propongano l’uso esasperato di neologismi o di termini fino a poco tempo prima usati – come dire? – “normalmente”, che entrano a far parte, tout court, del nostro bagaglio comunicativo. È capitato ieri, ad esempio, con “nella misura in cui…” o “un attimino”, succede oggi con il “detto questo…”, con lo “stacchiamo la spina”, con “l’infantilismo intra-uterino”, e anche con l’abuso (avete notato?) dell’aggettivo “ottimo” e via dicendo.
In questo clima inflazionato, capita magari – persino a una modesta persona come il sottoscritto – di veder giudicato svariate volte, con la patente di “ottimo”, un normale intervento sul tema del cosiddetto “dopo di noi” [“‘Dopo di noi’: costruire il futuro, conoscendo il presente”, pubblicato dal nostro giornale, N.d.R.], in cui francamente credevo di essermi limitato a sottolineare situazioni e condizioni che tutti, ahimè,dovremmo conoscere bene. Continua…


Costi dell’autismo nel Regno Unito

14/06/2014

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Da Financial

Secondo la London School of Economics l’autismo costa al Regno Unito più di malattie cardiache, cancro e ictus insieme.
Un nuovo studio condotto dalla LSE stima che l’autismo costi al Paese almeno 32 miliardi di sterline in trattamento, mancati guadagni, cura e supporto a bambini e adulti con autismo. Più di 600.000 persone nel Regno Unito hanno l’autismo, una condizione associata a scarse capacità sociali e comunicative, e a schemi di comportamento ripetitivi. Un quarto delle persone con autismo è incapace di parlare, e l’85% non ha un lavoro stabile.  La nuova ricerca, pubblicata nel Journal of the American Medical Association Pediatrics il 9 giugno, ha spinto famiglie, associazioni ed economisti dei sistemi sanitari a richiedere ancora un aumento degli investimenti nella ricerca sull’autismo.
Il prof. Martin Knapp della LSE dice che tra il 40 e il 60 per cento delle persone con disturbi dello spettro autistico presenta anche forme di ritardo mentale, e rappresenta nell’arco della vita un costo pro capite di circa 1 milione e 1/2 di sterline. «Quello che queste cifre evidenziano è la necessità di interventi più efficaci nel trattamento dell’autismo, soprattutto nella prima fase della vita, facendo l’uso migliore di risorse limitate,» dichiara il prof. Knapp. «Sono anche necessarie nuove politiche governative per l’enorme impatto dell’autismo sulle famiglie,» aggiunge lo studioso.
«Noi ci preoccupiamo delle vicende umane che stanno dietro questi numeri,» dice  Christine Swabey, CEO di Autistica, l’associazione per la ricerca sull’autismo più importante del Regno Unito.   «L’autismo dura per tutta la vita e può rendere altamente problematici una vita indipendente e un impiego lavorativo. Anche questo spiega perché esso abbia un impatto economico superiore a quello di altre condizioni.»  «Vi è un inaccettabile sbilanciamento tra i costi dell’autismo e la somma di quello che ogni anno spendiamo per la ricerca su come cambiare radicalmente le prospettive di vita delle persone. Noi sappiamo che il progresso è possibile. Una ricerca corretta potrà fornire interventi precoci, migliore salute mentale, e maggiore indipendenza. Ma in questo momento noi spendiamo solo 180 sterline in ricerca contro ogni milione che spendiamo in accudimento,» aggiunge la Swabey.
Secondo la LSE l’impatto dell’autismo comprende spese in servizi ospedalieri, assistenza sanitaria domestica, strutture per l’educazione speciale e per il sollievo delle famiglie, e anche i mancati guadagni delle persone con autismo e dei loro genitori.
Secondo il prof. Declan Murphy, dell’Istituto di Psichiatria, «le cifre dei costi mostrano che l’autismo colpisce tutti noi in quanto membri della società, ogni giorno, a prescindere dal fatto che abbiamo un membro della famiglia o un amico con autismo. Così, noi tutti dobbiamo impegnarci in qualche modo a migliorare le cose. Più fondi alla ricerca significherebbe che noi possiamo condurre studi volti a trasformare le vite.»
In un’indagine recente condotta da Autistica, il 90% dei genitori e l’ 89% degli adulti con autismo dice che c’è bisogno di una maggiore comprensione scientifica dell’autismo. Un padre dichiara: «Dovremmo far lavorare la scienza più duramente per rendere la vita più sopportabile». E una donna, cui l’autismo è stato diagnosticato a 50 anni: «Io cerco interventi per me, ma non sembra che per le persone della mia età ci sia un qualche intervento.»


Su Pier Carlo Morello

06/03/2014

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A proposito di Pier Carlo Morello, il giovane autistico laureatosi a Padova, si leggono sulla stampa e nell’internet molte inesattezze, a cominciare dall’affermazione che si tratterebbe della prima persona con autismo laureatasi in Italia. Ma quel che trovo strano è l’atteggiamento di alcuni fra quelli che intervengono criticamente sulla vicenda affermando che Morello in realtà non sia autistico. Essendovi di mezzo la Comunicazione Facilitata, una tecnica che per l’autismo è screditata presso la comunità scientifica internazionale, dimostrata fallace, e apertamente sconsigliata anche dall’Istituto Superiore di Sanità, e della quale in USA non si discute nemmeno più da vent’anni, l’argomentazione dovrebbe essere più trasparente e meglio fondata. Il punto centrale è questo: mediante la C.F. si fa passare l’idea–falsa–che dentro l’involucro della persona autistica che non è in grado di esprimersi esista un essere diverso da quello che appare, un essere che prova sensazioni, emozioni, e pensa pensieri uguali a quelli degli altri, dei neurotipici. La C.F. promuove dunque l’idea–falsa–che l’autismo sia solo una incrostazione, e non qualcosa che pervade tutto, anche il nocciolo più profondo della persona. In effetti, la C.F. implica una tragica falsificazione dell’autismo, una radicale non comprensione della sua realtà.
Se tu sei autistico, tu agisci da autistico, tu pensi da autistico, e tu parli e scrivi da autistico. Perché l’autismo è un modo di essere. Ma i testi prodotti con la C.F. (ne abbiamo visti più d’uno) presentano modalità comunicative, espressive, livelli linguistici e metaforici che sono propri delle persone neurotipiche. «La disuguaglianza è la vera disabilità, so che cammino solo. Ho contro un male che rende la vita muta, solitaria, vacua e bisognosa di altri, ma nella mia cesta di parole taciute trovo anche soli e lune, oceani calmi e colori di luce». Molti di quelli che sanno cosa sia l’autismo leggendo questa frase attribuita a Morello, con la sua aura poetica e la sua profondità metafisica,  giungeranno alla conclusione che lui non sia affatto autistico. Ma occorre ricordare che è stato dimostrato come nell’impiego della C.F. nei testi tenda a passare il pensiero del facilitatore (non autistico) piuttosto che quello autistico del facilitato. Dunque, Morello è senz’altro autistico, e tuttavia il Morello che emerge da quello che scrive non è quello reale, ma la sua oggettivazione operata dalla Comunicazione Facilitata.


Epidemia di autismo?

22/10/2013

Un bambino autistico di sei anni confortato dalla mamma. Foto: © Bernard Bisson/Sygma/Corbis

Si è da tempo diffusa, in modo del tutto irrazionale e soprattutto grazie all’internet, l’idea che sia in corso una epidemia di autismo, e che un numero crescente di bambini manifesti questa sindrome. Questa idea è sbagliata, anzitutto perché l’epidemia è tale solo se vi è una malattia, mentre l’autismo non è una malattia, ma un condizione di disturbo in alcuni aspetti del comportamento della persona (nelle sfere dell’immaginazione, della relazione, ecc. ecc.). Questo disturbo non viene rilevato da esami clinici, ma definito attraverso una osservazione del comportamento della persona e mediante una serie di test. La diagnosi può dunque essere anche molto incerta. Questa idea, in secondo luogo, risulta sbagliata anche se si considerano la storia dell’autismo e i criteri con cui si fanno le statistiche. La storia dell’autismo ci mostra infatti come si sia cominciato ad utilizzare questo termine da pochi decenni, e come esso sia stato gradualmente applicato a legioni di persone che precedentemente venivano catalogate con altre etichette: schizofrenici, deficienti, cretini, idioti, ritardati mentali ecc. ecc. Quindi una infinità di individui che un tempo venivano chiamati in altri modi ora sono definiti autistici. Il loro numero sembra aumentare, ma si tratta di un’illusione. Questa illusione è alimentata anche da ciò che è accaduto negli Stati Uniti con l’applicazione del concetto di spettro autistico, in cui vengono inseriti anche soggetti con elementi di disturbo molto marginali, fatto da cui deriva il can-can mediatico sull’autismo del calciatore Messi o di altri personaggi famosi. Negli USA si è esagerato nell’uso del termine autismo, e questa esagerazione ha contagiato anche noi. Conclusione: come dimostra una ricerca inglese, il numero degli autistici veri e propri, quelli che mai potrebbero diventare astri del calcio, della musica e del cinema, è sostanzialmente costante. La statistica inglese coincide con quelle delle uniche due regioni italiane che possono fornire numeri attendibili, Piemonte ed Emilia Romagna: 4 casi ogni 1000 nati.

 


Documento del Comitato Nazionale per la Bioetica

07/08/2013

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Il Documento del Comitato Nazionale per la Bioetica che è appena uscito, intitolato Disabilità mentale nell’età evolutiva: il caso dell’autismo, è ricco e interessante, e solleva molte questioni. Fin dal titolo, che sembra ancora una volta limitare il fenomeno dell’autismo all’età evolutiva. Su questo testo ci sarà da ragionare a lungo. Intanto una citazione:

«I problemi bioetici che riguardano la condotta di chi opera nell’ambito della cura delle persone con autismo si porranno in modo diverso a seconda dell’entità del disturbo, della presenza o meno del ritardo mentale e della sua misura, della compresenza di altre patologie. Un esempio evidente è il modo differente in cui si configurerà il consenso informato a seconda dell’età e della capacità di intendere e di volere. D’altra parte,se allo stato attuale non c‟è un farmaco che “curi” l‟autismo, vi sono tuttavia dei farmaci che permettono con la loro azione una modifica di comportamenti a rischio-o di disturbo-per il soggetto e per chi gli sta accanto. Ciò pone il problema della valutazione di quanto e come tali farmaci siano da usare “per il bene del paziente”, valutando costi e benefici per lui, e tenendo presenti anche le sofferenze e i benefici di chi se ne prende cura quotidianamente. In ultimo, l’incertezza su quale sia il trattamento più efficace, capace di portare non alla guarigione, ma ad un miglioramento della sindrome, rende difficile realizzare il diritto della persona con autismo o, per lui, dei suoi genitori, ad essere informati sulle diverse opzioni e di scegliere liberamente e consapevolmente.»
Documento del CNB, p. 41


Il risveglio dei mostri

27/07/2013

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Questo è Peter Singer, il filosofo (filosofo?) australiano che sostiene la tesi che sia preferibile sopprimere un neonato affetto da grave malattia e sostituirlo con un nuovo “progetto creativo”. Cari amici, vi invito a leggere questo articolo di Superando. Stiamo entrando in una fase storica molto difficile, e vecchi mostri si stanno risvegliando. Li credevamo morti, ma erano solo assopiti.

«Oggi dobbiamo conservare la memoria e dialogare con il presente, per impedire pericolose proposte selettive. Oggi, lo sviluppo dei test prenatali, i metodi per diagnosticare malattie dell’embrione, il perfezionamento delle tecniche riproduttive e la fecondazione assistita rappresentano delicate scelte morali su procreazione e nascita.Gli scienziati del campo biologico, i luminari della genetica – aiutati dallo sviluppo delle ricerche in campo medico e grazie alle nuove tecniche – hanno avviato una discussione circa il “valore della vita”, che sembra apparentemente lontana dalle idee del passato eugenetico. Il perfezionamento delle diagnosi prenatali, infatti, dà informazioni circa le malformazioni e le malattie del feto e, in caso positivo, in molti Paesi l’aborto è legalmente possibile. Seppure in modo involontario, però, la conseguenza di tale livello di controllo sulle nascite è quella di rimuovere il diritto di una persona con disabilità all’esistenza, lasciando la responsabilità di questa scelta a donne, genitori e medici, incaricati di evitare tale nascita.


La barbarie di Barbarano

16/04/2013

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Sono passati pochi giorni, e dei gravi fatti di Barbarano in provincia di Vicenza non parla più nessuno. Un ragazzo autistico di 14 anni veniva seviziato dentro la sua scuola dalla sua insegnante di sostegno e dall’addetta all’assistenza. Per la verità, i media nazionali hanno quasi ignorato l’episodio: i disabili interessano poco, se non sono delle star, e delle loro tragedie importa poco anche a quelli che si riempiono la bocca di parole magiche come integrazione. Avanzo qualche considerazione.

  1. In tema di disabilità, il divario tipicamente italiano tra parole e fatti assume proporzioni spaventose. Tuttavia, vi sono casi come questo in cui nemmeno le parole vengono spese.
  2. Le parole non vengono spese da media e politici, con qualche piccola eccezione, perché i fatti di Barbarano evidenziano come l’integrazione scolastica delle persone autistiche faccia acqua da tutte le parti. In questi tempi tutto ciò che potrebbe evocare un aumento di costi viene eluso, marginalizzato o ignorato totalmente. E un miglioramento delle condizioni di vita degli autistici a costo zero è impensabile.
  3. Nella scuola non si è attrezzati, manca un orientamento chiaro e condiviso, il personale non è preparato, gli insegnanti di sostegno sono spesso del tutto privi di preparazione specifica. Ma non vengono verificate nemmeno le loro qualità semplicemente umane. Per questo, penso che non si debba assumere nei confronti delle due seviziatrici un atteggiamento di puro linciaggio, anche se la violenza non può trovare alcuna scusante. Certamente avevano ricevuto un caso difficile, e non sono riuscite a reggere lo stress. Ma chiaramente sono colpevoli: dei loro atti, e anche di non aver dichiarato la propria inadeguatezza, di non aver chiesto aiuto, ecc. E gli altri insegnanti della classe? Che integrazione era mai quella?
  4. Le qualità semplicemente umane, tuttavia, non sono nemmeno radicate nella pubblica opinione italiana. In un Paese in cui vi fosse un qualche senso morale diffuso e condiviso, l’episodio sarebbe rimbalzato ovunque nei media, suscitando l’indignazione dell’intera Nazione: invece niente.
  5. Più sei debole, più sono deboli le reti di protezione che ti dovrebbero salvaguardare e aiutare. Un ragazzo con autismo del tutto averbale, non in grado di spiegare ai suoi genitori l’origine delle contusioni e delle ferite, è un soggetto debolissimo, del tutto in balia degli altri, privo di ogni difesa.
  6. È evidente come il termine “autismo” funzioni malissimo dal punto di vista comunicativo, dal momento che la gente sente chiamare “autistico” il ragazzo vicentino che non sa dire una parola, e sente definire “autistico” un genio come Einstein. Mentre la parola “down” funziona benissimo, e tutti capiscono di cosa si stia parlando. Nella società della comunicazione, questo non è un problema di lana caprina. E’ IL problema.