Io amo mio figlio, non il suo autismo

teen boy portrait

di

In response to John Robison, “Psychology Today,” “Does Neurodiversity Whitewash Autism?” (Sep 29, 2015)

C’è un vecchio detto: “scrivi di quello che conosci”. E John Elder Robison lo fa, e lo fa benissimo. Anche quando mi trovo in disaccordo con lui, Robison rimane lo scrittore con autismo che preferisco, uno che descrive l’autismo dall’interno con bravura, intelligenza e umorismo. Di recente, tuttavia, Robison ha scritto di qualcosa che non conosce: mio figlio Ben.
Anche Ben ha l’autismo. Quando scrivo di Ben e del suo autismo, io sono un esperto. A causa dei grandi cambiamenti nel significato della parola stessa che sono intercorsi da quando Ben fu diagnosticato, nel 1995, io di solito mi riferisco alla sua condizione come autismo severo. Io non parlerei mai di Robison e della sua esperienza al posto suo, voglio solo imparare dalle sue parole. Lui ci fornisce la possibilità di penetrare nel mondo interiore del nostro stesso figlio. O almeno noi pensiamo che ce la fornisca. Ma Ben, un giovane uomo di 22 anni, non può esprimersi come fa Robison. Anzi, è ben lungi dal poterlo fare.
Io sono decisamente un genitore che ama suo figlio e odia il suo severo autismo. Quando dico che l’autismo di Ben è un disturbo distruttivo che noi odiamo, il mio non è un semplice sfogo, come lo etichetta Robison. Come potremmo NON odiarlo? Da quando aveva 12 anni, l’autismo ha impedito a Ben di essere in grado di vivere con la sua famiglia, e perfino nello stesso Stato, perché necessita di un’assistenza continua e attenta. Dopo decenni di lavoro con lui da parte di professionisti specializzati, la vita di Ben rimane estremamente limitata. Lui necessita di assistenza 24 ore su ventiquattro, 7 giorni su 7, e non si vede alcun segno che questo un giorno possa cambiare. Ben dipende dagli altri… quasi per ogni cosa. Quando la sua mamma e io saremo morti, questa dipendenza dagli altri rimarrà, e questo fatto terrorizza tutti i genitori come noi.
Per Ben e per molti come lui non è una semplice faccenda di disabilità intellettiva e di basso QI. In effetti, l’intelligenza di base di Ben forse è molto più alta di quel che riesce a comunicare. I problemi di comunicazione che discendono dal suo autismo severo (ebbene, sì, con lui sono stati utilizzati molti strumenti e tecniche di comunicazione, che hanno aiutato fino ad un certo punto) alimentano le sue ansie, che sono nel nucleo del suo funzionamento. Che si tratti del suo frequente camminare avanti e indietro, o di un occasionale comportamento aggressivo, tutto deriva, almeno in parte, da paura e ansia, e dall’incapacità di esprimerle e controllarle. Sentirsi tesi e ansiosi fin dal momento in cui gli occhi si aprono la mattina, per motivi fisiologici che non si possono controllare, in aggiunta ad un’estrema difficoltà di comprendere gran parte di quello che noi diamo per scontato minuto per minuto nella nostra vita – semplicemente immaginarlo mi sconvolge. Ma noi abbiamo dovuto fare di più che immaginarlo. Noi lo abbiamo visto, sentito, e combattuto per tutta la sua vita. Non lui, Ben, ma il nemico di nostro figlio, il suo autismo.
Non mi sogno nemmeno di dire a Robison o a chiunque altro sente come lui che il suo autismo, gli piaccia o meno, è un disturbo. Ma l’autismo severo di Ben è un disturbo distruttivo. Come analogia, Robison cita il divorzio e dice che “ai genitori si raccomanda di non criticare l’ex coniuge davanti ai bambini, perché quei bambini sono per metà lui (o lei)” e dire alle persone con autismo “che voi lo odiate è corrosivo come dire che voi odiate il nostro altro genitore”. Nel mio lavoro come psicologo, e direttore per 25 anni di servizi di protezione dei bambini e mediazione nei casi di divorzio, ho dato lo stesso consiglio letteralmente, migliaia di volte, e vedo tra questi due mondi un’analogia differente. Criticare l’altro genitore in un divorzio non è lo stesso che criticare l’autismo. Mantenendo l’analogia del divorzio, l’autismo non è l’altro genitore, l’autismo è il divorzio stesso. È l’autismo severo la causa della misera vita di Ben, e non la nostra opinione sull’autismo. Una persona non sceglie mai di avere l’autismo, anche se vive un’esistenza in cui lo gestisce con successo, o anche se esso le conferisce qualche capacità superiore, e un bambino praticamente mai sceglie per i suoi genitori il divorzio, perfino quando il divorzio può rappresentare un beneficio per tutte le parti coinvolte.
Robison crede che “se tu non sei autistico, non spetta a te odiare o giudicare”. Sono d’accordo, se si considera l’autismo non un disturbo ma una differenza. Odiare qualcuno o qualcosa soltanto per il suo essere differente è orribile. Ma anche l’autismo severo di Ben è orribile. Per tutto quello che ha distrutto, odiarlo non lo è. Odiarlo è naturale.

Pubblicato su Huffington Post

Nota del traduttore Fabio Brotto

In questo post di David Royko si vede nitidamente quella che secondo me oggi è la questione decisiva nel mondo dell’autismo: quella della differenza. Ma non si tratta della differenza tra autistici e neurotipici, bensì della differenza qualitativa tra l’autismo ad alto/altissimo funzionamento e quello severo. Tra neurodiversità e disturbo, tra una mente diversa e una mente disabile, c’è un abisso. Vogliamo riconoscerne l’esistenza?

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