Forniamo la traduzione italiana (di Fabio Brotto) di un articolo su Nature, che riguarda l’importantissima questione del DSM-5.
Un tempo la parola autismo evocava l’immagine di qualcuno con gravi problemi, serie difficoltà nella comunicazione e forme di comportamento rigide (magari qualcuno come il personaggio interpretato da Dustin Hoffman nel film del 1988 Rain Man). Oggi la percezione dell’autismo tende ad essere quella di una condizione molto meno grave: spesso la gente conosce qualcuno che ha un bambino con qualche forma di autismo, e molti di questi bambini frequentano le scuole normali.
La definizione di autismo è cambiata molte volte dal tempo in cui questo fu descritto per la prima volta negli anni Quaranta. Si è evoluta dalla cosiddetta schizofrenia infantile degli anni Cinquanta e Sessanta all’autismo infantile degli anni Ottanta, fino al largo disturbo spettro autistico (DSA) che conosciamo oggi.
La quinta e ultima edizione della bibbia della diagnostica psichiatrica, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder (DSM-5), secondo i programmi uscirà nel maggio 2013. Con una stesura che ha richiesto quattro anni, il DSM-5 presenta un altro tentativo di redifinizione del nostro concetto di autismo. Questo processo viene sempre attentamente seguito, perché le linee guida hanno un vasto impatto: esse vengono utilizzate negli Stati Uniti e in molti altri Paesi da clinici, aziende farmaceutiche, ricercatori e compagnie di assicurazione, per definire le condizioni psichiatriche. In questo caso infuria una controversia intorno all’obiettivo di rendere le linee guida contemporaneamente abbastanza sensibili da diagnosticare chi ha il disturbo e abbastanza specifiche da escludere coloro che non ce l’hanno.
I due cambiamenti più grossi nel DSM-5 sono uno spostamento da tre classi di sintomi a due e il venir meno di un numero di differenti disturbi connessi all’autismo, con l’inclusione della sindrome di Asperger (che descrive persone che hanno alcuni dei deficit di interazione sociale comuni nell’autismo ma nessuna menomazione del linguaggio) sotto il titolo comune di autismo.
La proposta di eliminare i confini tra distinti disturbi connessi all’autismo ha sollevato il timore che alcuni bambini possano non rispondere più ai criteri diagnostici sotto la definizione del DSM-5, in questo modo rendendo difficile l’ottenimento dell’aiuto di cui hanno bisogno. «La mia preoccupazione è che vi sarà un cambiamento sostanziale nel modo in cui noi facciamo le diagnosi, e che questo complicherà la vita dei ricercatori e delle famiglie,» dice Fred Volkmar, direttore del Yale University Child Study Center di New Haven nel Connecticut, un critico del DSM-5.
I sostenitori della definizione dell’autismo del DSM-5‘s replicano che i cambiamenti sono basati su di una migliore comprensione dei sintomi della condizione autistica. Oltretutto, essi aggiungono, gli studi preliminari indicano che gli esclusi saranno pochi. «All’opinione pubblica pare che i cambiamenti siano enormi e arbitrari,» afferma Sally Ozonoff, esperta in diagnosi di autismo del MIND Institute presso la University of California, che non ha parftecipato alla revisione, «ma essi si fondano su di una revisione molto accurata di tutta la ricerca, e io penso che l’abbiano fatta correttamente».
Aiuta a gettare benzina sul fuoco il fatto che, a differenza dalle precedenti versioni, le linee guida del DSM-5 sono state aperte alla pubblica discussione in corso d’opera. L’apertura del processo ha fatto sì che vi potessero essere reazioni calde (e qualche volta puramente emotive). «Ci brucia dannatamente il fatto che i giornali ci abbiano accusati di tentare di danneggiare i ragazzini negandogli i servizi», ha detto nel marzo 2012 a Toronto di fronte ad una folta platea gremita Susan Swedo, presidente del gruppo di lavoro incaricato di rivedere le linee guida.
La Swedo, specialista in pediatria comportamentale al National Institute of Mental Health di Rockville nel Maryland, dice che le nuove linee guida sono molto simili alle precedenti. «Quello che è realmente diverso è che vi sono molte più indicazioni per i clinici,» come quelle su come i sintomi possano manifestarsi diversamente nei bambini piccoli e nei giovani adulti. L’obiettivo di espandere queste descrizioni, aggiunge, è stato quello di rendere le linee guida più sensibili all’autismo in gruppi che sono spesso trascurati, come le ragazze e le minoranze.
Un criterio per i criteri
Uno dei fini delle nuove linee guida è quello di standardizzare le diagnosi. Uno studio del 2011 condotto da un team guidato dalla psicologa e ricercatrice sull’autismo Catherine Lord del Weill Cornell Medical College di New York indica che, sebbene i clinici attribuiscano punteggi simili nei test di screening dell’autismo, la classificazione che essi allegano al punteggio (ad es. autismo classico o la più leggera sindrome di Asperger) è ampiamente variabile. Per sviluppare i nuovi criteri per l’autismo, i ricercatori hanno analizzato dati provenienti da diverse grandi raccolte che includono bambini con autismo classico, disturbi connessi all’autismo e altre diagnosi, quali ritardo del linguaggio, disabilità intellettive e deficit di attenzione e iperattività (ADHD). I bambini erano stati tutti tutti esaminati mediante due test di largo impiego: l’Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS) e l’Autism Diagnostic Interview-Revised (ADI-R).
Per determinare quello che dovrebbe essere incluso nei criteri, i ricercatori prima hanno svolto un’analisi statistica mirante a isolare i fattori responsabili della diagnosi di un disturbo legato all’autismo. Successivamente essi hanno creato versioni differenti del DSM-5 e hanno testato l’accuratezza con cui ciascuna versione identificava i bambini con autismo di differenti età, genere e abilità linguistica. «Questo ci ha consentito di vedere la proporzione di bambini con varie diagnosi cliniche che sarebbero stati inclusi o esclusi dal DSA coi nuovi criteri,» dice la Lord, membro del gruppo di lavoro per il DSM-5 e creatrice sia dell’ADOS che dell’ADI-R.
Il DSM-5 restringe la ben conosciuta triade delle menomazioni come è descritta nel DSM-IV (deficit nel comportamento sociale, ritardo del linguaggio, comportamenti ripetitivi e interessi ristretti) in due sole grandi classi: difficoltà di comunicazione sociale e comportamenti ripetitivi o restrittivi. «Era realmente una specie di caso se un particolare comportamento veniva designato come comunicazione sociale o non-verbale [nel DSM-IV],» dice la Lord. «Quando noi abbiamo esaminato larghe raccolte di dati, nel DSA c’erano due fattori separati». E aggiunge che la semplificazione fatta dal DSM-5 riflette più chiaramente la realtà della condizione.
Due studi che analizzano differenti raccolte di dati supportano questo cambiamento. «La fusione di comunicazione e reciprocità sociale in una sola categoria corrisponde molto bene alla nostra pratica clinica,» afferma David Skuse, un neuropsicologo dell’età evolutiva all’University College di Londra che ha condotto uno degli studi. (Skuse non è un membro del gruppo di lavoro per il DSM-5.)
Il cambiamento più controverso nel DSM-5 è quello che consiste nel riunire sotto la singola denominazione di autismo un numero di disturbi precedentemente distinti. Il DSM-IV riconosceva come distinti diversi disturbi, inclusi l’autismo classico, la sindrome di Asperger e il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato (PDD-NOS) (una categoria che si applica a molti bambini che rispondono ad alcuni, ma non a tutti, i criteri per l’autismo.
Alcuni ricercatori sull’autismo sostengono che vi siano scarse basi scientifiche per definire questi come disturbi differenti. «Risultati replicabili della ricerca mostrano che è quasi impossibile separare le persone con autismo dalla sindrome di Asperger se i controlli riguardano l’intelligenza e il livello del linguaggio,» dice la Lord. E per quanto riguarda il PDD-NOS, «quando si esamina la ricerca, esso fondamentalmente risulta essere un autismo meno severo: nessuno ha potuto individuare delle caratteristiche che possano isolare quel gruppo».
Un impatto potenziale della ridefinizione che i suoi oppositori hanno spesso evocato è che alcune persone con sindrome di Asperger e PDD-NOS non potranno più presentare i requisiti per una diagnosi di autismo e per i servizi di supporto che ne derivano. Per esempio, Volkmar e i suoi collaboratori hanno nuovamente analizzato i dati raccolti con questionario per le prove sul campo del DSM-IV, collegandoli ai criteri delineati nel DSM-5. La loro analisi del 2012 indica che soltanto il 60% circa delle 1000 persone che hanno ricevuto la diagnosi di autismo nel 1994 col DSM-IV risponderebbe ai nuovi criteri diagnostici.
Altri studi pubblicati durante lo scorso anno suffragano la preoccupazione di Volkmar. «Tutti mostrano una massiccia caduta dei numeri delle persone con diagnosi di DSA secondo il DSM-5,» afferma Johnny Matson, psicologo della Louisiana State University di Baton Rouge e autore di alcuni di questi studi. Ad una grande modificazione avrei preferito un aggiustamento.»
Ma i critici di questi studi sostengono che essi sono retrospettivi, il che significa che utilizzano dati vecchi, spesso da questionari limitati. Alcuni dei sintomi indicati nelle nuove linee guida, come i deficit sensoriali, in passato potrebbero semplicemente non essere stati raccolti. Il risultato, dicono, è che individui che esaminati oggi risponderebbero ai criteri diagnostici in base all’informazione precedentemente raccolta non sarebbero considerati autistici. Gli studi retrospettivi «tendono sempre a sottostimare la sensibilità, perché essi non pongono tutte le domande,» dice la Lord.
Lo studio di Volkmar è «fatalmente viziato perché per fare l’analisi ha utilizzato dati che non potevano rispondere alle domande poste,» dice Susan Swedo. «Il solo fatto di avere un’idea di come un bambino risponde ai criteri del DSM-III o del DSM-IV non significa che questa possa applicarsi al DSM-5.»
Un nuovo studio, pubblicato questo mese nell’American Journal of Psychiatry dalla Lord e dai suoi collaboratori utilizza una raccolta di dati molto più ricca per mostrare come le nuove linee guida siano tanto sensibili quanto il DSM-IV e come sia inverosimile che escludano molti.
Gli esperti di entrambe le fazioni concordano sul fatto che la risposta reale verrà da studi prospettici, il che significa che nuovi dati saranno raccolti nel corso di una valutazione effettuata contemporaneamente col DSM-IV e col DSM-5. «Non sapremo finché i risultati di questa sperimentazione non saranno pubblicati,» afferma la Ozonoff.
Questa sperimentazione ora è in atto. L’organizzazione di ricerca e advocacy Autism Speaks sta finanziando uno studio prospettico, come anche l’American Psychiatric Association (APA), che pubblica il DSM. I risultati preliminari dalla ricerca sul campo dell’APA, presentati all’ International Meeting for Autism Research di Toronto nel maggio 2012, sono in linea con lo studio della Lord, e indicano che è improbabile che le nuove linee guida escludano molte persone con DSA.
Sally Ozonoff, che sostiene decisamente le linee guida del DSM-5, dice che un difetto è costituito dalla creazione di una categoria diagnostica denominata disturbo della comunicazione pragmatica o sociale. Questa etichetta si applicherà ai bambini che evidenziano alcuni dei deficit di comunicazione sociale dell’autismo ma non i comportamenti ristretti e ripetitivi. Spesso questi bambini ricevono la diagnosi di disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato (PDD-NOS). Dati non pubblicati del gruppo Skuse indicano che circa un terzo di queste persone probabilmente saranno spostate nella categoria del disturbo della comunicazione sociale. «Esso sembra molto simile al disturbo dello spettro autistico, » dice la Ozonoff. Mi chiedo quale sia la logica sottesa alla creazione di una nuova diagnosi in assenza di dati sicuri sul fatto che sia una cosa differente». Come la sindrome di Asperger è andata e venuta come forma di autismo, la stessa traiettoria può essere in serbo per quest’ultima sub-categoria.
L’unico modo per risolvere la disputa è fare più ricerca, dice Volkmar, che negli anni Ottanta ha contribuito a valutare i criteri correnti della quarta edizione. «Infine,» dichiara, «non è una questione di opinioni: è una questione di dati».
Mio figlio era un bambino sanissimo…. Camminava, diceva le parole x la sua età, mangiava di tutto. Da quando ha fatto il vaccino trivalente si è’ trasformato…. Nn mangiava più, nn mj guardava più e nn giocava più con nessuno… Sembrava un’altro bambino…. E frequentando le associazioni potrei descrivere mille caso così…. È come mai da quando è’ subentrato questo vaccino sono aumentati i caso da 1 a 800 che era negli anni 80 a uno su 20 adesso???
Chissà come mai…. Una mamma medico
Gentile Elisa, il Suo commento non ha molto a che fare con il contenuto del post. Purtroppo le vaccinazioni si devono fare esattamente in quella fase della vita in cui il cervello del bambino ha una accelerazione “esplosiva del suo sviluppo”. Quindi per un certo numero di bambini la sindrome si evidenzia proprio in coincidenza con la vaccinazione. Ma coincidenza temporale non significa causazione. I vaccini vengono fatti a entrambi i sessi, ma l’autismo è enormemente più frequente nei maschi. Nessuna teoria dell’origine dell’autismo che non sia in grado di dar conto della differente prevalenza tra maschii e femmine può essere accettata. La teoria dei vaccini non dà conto di questa differenza. In ogni caso, se ci si documenta sulle modalità e categorie diagnostiche utilizzate in passato, si può facilmente arrivare alla conclusione che l’ “epidemia” di autismo è legata alla gestione sociale delle problematiche comportamentali, ivi compresi i criteri diagnostici. La creazione dello “spettro” ha fatto esplodere il numero di coloro che sono stati fatti rientrare nell’ambito dell’autismo.