Words say little about cognitive abilities in autism | Spectrum

08/09/2016

Nearly half of children with autism who speak few or no words have cognitive skills that far exceed their verbal abilities, according to the largest study of so-called ‘minimally verbal’ children with autism to date1. The findings call into question the widespread assumption that children with autism who have severe difficulty with speech also have low intelligence.

Source: Words say little about cognitive abilities in autism | Spectrum


In A Different Key

05/05/2016

Brotture

diffkeyQuesta è una storia dell’autismo molto americana, nel senso che quasi tutto ciò di cui si parla avviene negli Stati Uniti (e in Inghilterra), ma è ben vero che le sorti generali dell’autismo si sono decise in un solo Paese, e senza quello che è avvenuto in questi decenni negli USA tutte le famiglie con autismo al loro interno, italiane comprese, sarebbero nella notte e nella nebbia. Questo è anche un libro di 552  pagine (che con le note e gli indici diventano 670), che si legge d’un fiato, perché è scritto benissimo, con la chiarezza e la capacità narrativa del miglior giornalismo e della migliore storiografia anglosassoni. In A Different KeyThe Story of Autism è un libro che dovrebbero leggere tutti quelli che in qualche modo sono interessati alla problematica dell’autismo, anche in Italia. E tuttavia la diffusa incapacità, anche da parte di psicologi e psichiatri italiani, di leggere…

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Reagan, Nolan e l’autismo

21/04/2016

MichaelShaynePrivateDetectiveFino agli anni Sessanta del secolo scorso, il destino di tutte le persone con autismo grave nei Paesi occidentali era uno solo: il confinamento in un istituto fino alla fine dei loro giorni. In altre parole: il manicomio, o qualcosa di molto simile. Negli USA, come altrove, gli anni Settanta videro svilupparsi un potente moto di de-istituzionalizzazione, che ebbe come prime protagoniste le famiglie dei disabili, che lottarono per una modifica radicale del modo in cui fino allora era affrontato l’autismo. Questa lotta è punteggiata di eventi accidentali, e di episodi singolari. Uno, risalente al 1974, riguarda l’allora governatore della California Ronald Reagan e l’attore di Hollywood Lloyd Nolan. L’ho scoperto leggendo la storia dell’autismo narrata da John Donvan e Caren Zucker in In a Different Key.
Nel 1974 già alcuni Stati avevano fatto un salto di qualità nell’accoglienza dei bambini con autismo nel sistema scolastico, anche approvando leggi dedicate: in Maryland, Oklahoma, Nord Virginia, Texas cambiamenti sostanziali stavano avvenendo nella scuola. E anche in California gruppi organizzati di mamme di bambini autistici stavano facendo una campagna per ottenere dallo Stato un provvedimento per l’educazione dei loro figli. l provvedimento legislativo passò per entrambe le camere del parlamento californiano. Mancava solo la firma del governatore, notoriamente contrario a qualsiasi aumento della spesa pubblica: era molto probabile che Ronald Reagan, il cui mandato era alla fine, ponesse quindi il suo veto, anche perché aveva sempre sostenuto apertamente che uno dei settori in cui si spendeva troppo era quello scolastico, e con il nuovo Autism Education Bill lo Stato avrebbe dovuto sborsare ogni anno 3000 dollari in più per ogni allievo autistico.
Accidenti della storia. Harvey Lapin, padre di un ragazzino autistico e impegnato nell’associazione NSAC (National Society for Autistic Children), era un dentista di Los Angeles che tra i suoi pazienti annoverava molte star di Hollywood. Ed era diventato amico di Lloyd Nolan, un attore famoso e uno dei caratteristi più importanti della storia del cinema americano. Lapin era un liberal, Nolan invece era repubblicano, attivo anche nella raccolta di fondi per le campagne elettorali di Reagan. Nolan aveva avuto un figlio autistico, Jay, diagnosticato tale nel 1956, a tredici anni, e messo in un istituto, come si usava a quel tempo, istituto dove era morto  nel 1969, a 26 anni, per soffocamento durante il pranzo (un pericolo sempre incombente sugli autistici a basso funzionamento). L’attore aveva a lungo tenuto nascosto l’autismo del figlio, di cui non parlava mai, come non accennava mai alla sua morte. Ma da poco i colloqui con Harvey Lapin lo avevano cambiato profondamente, e nel 1973 aveva narrato la storia del figlio al Los Angeles Times, e testimoniato davanti al Congresso a sostegno della necessità di una legislazione a favore dell’autismo, che innanzitutto lo riconoscesse come disabilità. Successivamente, nello stesso anno, Nolan aveva partecipato come voce narrante al documentario televisivo sull’autismo Minority of One. Dunque, Harvey Lapin decise di andare insieme alla moglie a trovare Nolan a casa sua, per invitarlo a fare pressione sul suo amico Reagan affinché firmasse il provvedimento. Nolan telefonò all’ufficio del Governatore. E i coniugi Lapin udirono soltanto quello che diceva il loro amico.

“Vorrei parlare col governatore”.
Qualcuno deve aver chiesto chi lo desiderava.
“LLoyd Nolan”.
Dopo un minuto Nolan disse “Hello Ron”.
Dopo alcuni convenevoli, Nolan andò dritto alla questione: “So che tu sai che io avevo un figlio con autismo, che è morto”.
Reagan rispose qualcosa, Nolan tacque per un po’. Poi disse: “Non ho mai chiesto nulla a nessuno, ma tu sul tuo tavolo ora hai un provvedimento sull’educazione. Educazione per ragazzi che hanno quello che aveva mio figlio”. E dopo una pausa: “Se tu lo firmassi apprezzerei moltissimo il tuo gesto”.
La telefonata finì qui. Il 30 settembre 1974, ultimo giorno del suo mandato, Reagan firmò. E la storia dell’autismo fece un altro balzo in avanti.


Si parla di Guido

21/02/2016

Inclusivismo come ideologia

17/02/2016

Brotture

photo-pro-schIl mondo della disabilità in Italia ha bisogno di determinazione, idee chiare, realismo. Molto meno di visceralità, luoghi comuni e ideologia. Eppure, e non è strano, prevalgono di gran lunga i secondi. Così, siamo passati in pochi decenni dal segregazionismo all’inclusivismo totalitario. Leggo con irritazione, ma non con stupore, quindi, l’articolo di Chiara Bonanno comparso su Superando del 16 febbraio, intitolato “Strutture protette”: i convincimenti e le leggende. E qui lo sottopongo ad un’analisi critica, al fine di far emergere quelli che a mio giudizio sono nodi irrisolti e scogli pericolosi (non privi di Sirene).

Scrive Chiara Bonanno: In Italia c’è ancora tanta gente convinta che alcune forme di disabilità debbano essere trattate in appositi ambienti altamente strutturati e con personale professionalmente preparato.

Certamente, e per fortuna. Quegli ambienti però non è facile trovarli. Io da sempre sostengo che le persone con autismo a basso funzionamento, tanto per…

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Mediautistici

16/02/2016

Brotture

chiara_ori_crop_MASTER__0x0-593x443Sappiamo che l’Internet ha dato un contributo importante, a livello globale, alla consapevolezza dell’autismo. Qualcuno ha anche detto che l’autismo come oggi è raccontato è una creazione del Web. Sicuramente le famiglie degli autistici, e anche una parte delle persone nello Spettro, quelle ad altissimo funzionamento e asperger, hanno trovato nella Rete strumenti di comunicazione, e di azione e influenza, importantissimi. Ma anche cinema e televisione oggi sono forti attori nel campo dell’autismo, e la sfera mediatica nel suo insieme non può essere trascurata da chi si occupi di autismo come fatto sociale.
La sfera mediatica è la sfera della presenza-agli-altri, della visibilità. Questa sfera, in cui la televisione continua a svolgere un ruolo privilegiato, esplicita e porta all’estremo la tendenza generalmente umana ad abbandonare la periferia del gruppo sociale, e della società di massa odierna, per occupare il Centro, dove si è resi visibili agli infiniti membri della periferia, e dove…

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Rimedi omeopatici ritirati perche contengono vere medicine!

16/01/2016

Evoluti per sbaglio

Sembra quasi una notizia del sito satirico “The Onion” ma è pura verità: alcuni rimedi omeopatici sono stati ritirati perchè contengono … penicillina .. cioè una vera medicina ( qui e qui).

Nel momento in cui le aziende omeopatiche si impegnano per rispettare le Norme di Buona Fabbricazione (qui) dei loro prodotti e, cercano così, di avere legittimazione dalle varie agenzie farmaceutiche, diventa necessario garantire che il rimedio contenga veramente quello che c’è scritto sull’etichetta, cioè zucchero e nient’altro!

ResearchBlogging.org

Ma i rimedi omeopatici, nononstante contengano solo zucchero, non sono preparati correttamente e, più frequentemente di quanto ci si aspetta, i rimedi possono dare effetti avversi.

Un audit all’ospedale omeopatico di Bristol ha mostrato che in 116 pazienti studiati il 24% aveva un aggravamneto delle condizioni di salute ed l’11% dei pazienti avevano eventi avversi, come mal di testa, letargia e vomito (Thompson et alt.).

Un medicinale è valutato secondo…

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Buon Natale

24/12/2015

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Io amo mio figlio, non il suo autismo

10/10/2015

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di

In response to John Robison, “Psychology Today,” “Does Neurodiversity Whitewash Autism?” (Sep 29, 2015)

C’è un vecchio detto: “scrivi di quello che conosci”. E John Elder Robison lo fa, e lo fa benissimo. Anche quando mi trovo in disaccordo con lui, Robison rimane lo scrittore con autismo che preferisco, uno che descrive l’autismo dall’interno con bravura, intelligenza e umorismo. Di recente, tuttavia, Robison ha scritto di qualcosa che non conosce: mio figlio Ben.
Anche Ben ha l’autismo. Quando scrivo di Ben e del suo autismo, io sono un esperto. A causa dei grandi cambiamenti nel significato della parola stessa che sono intercorsi da quando Ben fu diagnosticato, nel 1995, io di solito mi riferisco alla sua condizione come autismo severo. Io non parlerei mai di Robison e della sua esperienza al posto suo, voglio solo imparare dalle sue parole. Lui ci fornisce la possibilità di penetrare nel mondo interiore del nostro stesso figlio. O almeno noi pensiamo che ce la fornisca. Ma Ben, un giovane uomo di 22 anni, non può esprimersi come fa Robison. Anzi, è ben lungi dal poterlo fare.
Io sono decisamente un genitore che ama suo figlio e odia il suo severo autismo. Quando dico che l’autismo di Ben è un disturbo distruttivo che noi odiamo, il mio non è un semplice sfogo, come lo etichetta Robison. Come potremmo NON odiarlo? Da quando aveva 12 anni, l’autismo ha impedito a Ben di essere in grado di vivere con la sua famiglia, e perfino nello stesso Stato, perché necessita di un’assistenza continua e attenta. Dopo decenni di lavoro con lui da parte di professionisti specializzati, la vita di Ben rimane estremamente limitata. Lui necessita di assistenza 24 ore su ventiquattro, 7 giorni su 7, e non si vede alcun segno che questo un giorno possa cambiare. Ben dipende dagli altri… quasi per ogni cosa. Quando la sua mamma e io saremo morti, questa dipendenza dagli altri rimarrà, e questo fatto terrorizza tutti i genitori come noi.
Per Ben e per molti come lui non è una semplice faccenda di disabilità intellettiva e di basso QI. In effetti, l’intelligenza di base di Ben forse è molto più alta di quel che riesce a comunicare. I problemi di comunicazione che discendono dal suo autismo severo (ebbene, sì, con lui sono stati utilizzati molti strumenti e tecniche di comunicazione, che hanno aiutato fino ad un certo punto) alimentano le sue ansie, che sono nel nucleo del suo funzionamento. Che si tratti del suo frequente camminare avanti e indietro, o di un occasionale comportamento aggressivo, tutto deriva, almeno in parte, da paura e ansia, e dall’incapacità di esprimerle e controllarle. Sentirsi tesi e ansiosi fin dal momento in cui gli occhi si aprono la mattina, per motivi fisiologici che non si possono controllare, in aggiunta ad un’estrema difficoltà di comprendere gran parte di quello che noi diamo per scontato minuto per minuto nella nostra vita – semplicemente immaginarlo mi sconvolge. Ma noi abbiamo dovuto fare di più che immaginarlo. Noi lo abbiamo visto, sentito, e combattuto per tutta la sua vita. Non lui, Ben, ma il nemico di nostro figlio, il suo autismo.
Non mi sogno nemmeno di dire a Robison o a chiunque altro sente come lui che il suo autismo, gli piaccia o meno, è un disturbo. Ma l’autismo severo di Ben è un disturbo distruttivo. Come analogia, Robison cita il divorzio e dice che “ai genitori si raccomanda di non criticare l’ex coniuge davanti ai bambini, perché quei bambini sono per metà lui (o lei)” e dire alle persone con autismo “che voi lo odiate è corrosivo come dire che voi odiate il nostro altro genitore”. Nel mio lavoro come psicologo, e direttore per 25 anni di servizi di protezione dei bambini e mediazione nei casi di divorzio, ho dato lo stesso consiglio letteralmente, migliaia di volte, e vedo tra questi due mondi un’analogia differente. Criticare l’altro genitore in un divorzio non è lo stesso che criticare l’autismo. Mantenendo l’analogia del divorzio, l’autismo non è l’altro genitore, l’autismo è il divorzio stesso. È l’autismo severo la causa della misera vita di Ben, e non la nostra opinione sull’autismo. Una persona non sceglie mai di avere l’autismo, anche se vive un’esistenza in cui lo gestisce con successo, o anche se esso le conferisce qualche capacità superiore, e un bambino praticamente mai sceglie per i suoi genitori il divorzio, perfino quando il divorzio può rappresentare un beneficio per tutte le parti coinvolte.
Robison crede che “se tu non sei autistico, non spetta a te odiare o giudicare”. Sono d’accordo, se si considera l’autismo non un disturbo ma una differenza. Odiare qualcuno o qualcosa soltanto per il suo essere differente è orribile. Ma anche l’autismo severo di Ben è orribile. Per tutto quello che ha distrutto, odiarlo non lo è. Odiarlo è naturale.

Pubblicato su Huffington Post

Nota del traduttore Fabio Brotto

In questo post di David Royko si vede nitidamente quella che secondo me oggi è la questione decisiva nel mondo dell’autismo: quella della differenza. Ma non si tratta della differenza tra autistici e neurotipici, bensì della differenza qualitativa tra l’autismo ad alto/altissimo funzionamento e quello severo. Tra neurodiversità e disturbo, tra una mente diversa e una mente disabile, c’è un abisso. Vogliamo riconoscerne l’esistenza?


Autismo a Treviso: c’è poco da ridere. | Autismo

06/10/2015

imagesRicevo al numero dell’associazione Autismo Treviso, di cui sono presidente, la chiamata di una signora straniera, che parla un discreto italiano. Telefonata drammatica. Chiama per conto di una sua amica, che l’italiano né lo parla né lo capisce. Mi espone, con grande fatica e pena, una situazione che conosco molto bene, perché è quella di tante famiglie che in questi anni si sono rivolte a me, trovandomi per caso in internet alla disperata ricerca di aiuto da parte di qualcuno, per avere una qualche indicazione, perché dalle loro ASL non avevano avuto nulla, o poco più che nulla. La signora straniera mi racconta della condizione disperata in cui versa la famiglia della sua amica. C’è un bambino autistico di 9 anni, che ha comportamenti molto problematici, spesso dirompenti, non dorme di notte, e ormai è più forte della madre, che non riesce più a controllarlo. La famiglia è disperata, non sa cosa fare e a chi rivolgersi. Totalmente abbandonata a se stessa. Ovviamente non sa che nel territorio dell’ULSS 9 di Treviso esiste un centro dedicato a queste problematiche, un centro della neuropsichiatria trevigiana, il centro Samarotto. Perché scrivo ovviamente? Perché da anni chiedo ai responsabili dell’ULSS 9 per quale motivo l’esistenza del centro sia tenuta così ben celata. Tanto celata che alcuni mesi fa ho constatato in prima persona che perfino il dott. Franco Moretto, dirigente dei Servizi Sociali della Regione Veneto, ne era completamente all’oscuro. Del resto da anni pongo altre due domande alla mia ULSS, senza mai ricevere una risposta sensata. La prima è: si potrebbero conoscere quali siano i criteri in base ai quali alcuni bambini con diagnosi di disturbo dello spettro autistico vengono presi in carico dal centro dedicato, mentre altri rimangono nei distretti, a farsi le solite ore inutili di psicomotricità? La seconda è: quali progetti ha l’ULSS per gli autistici che hanno terminato il loro percorso scolastico? Perché molte famiglie nei prossimi anni non accetteranno supinamente un totale abbandono da parte dei servizi, e attualmente in tutto il vasto territorio dell’ULSS 9 non esiste nemmeno un centro diurno specificamente pensato per le problematiche dei soggetti con autismo. Siamo ancora in alto mare, ma temo che i dirigenti della mia ULSS non se ne rendano affatto conto.

Source: Autismo a Treviso: c’è poco da ridere. | Autismo


Opinioni e responsabilità

29/09/2015

Brotture

gufoGianfranco Vitale è padre di un giovane uomo con autismo, molto impegnato sui vari fronti di questa disabilità.  Sul suo libro Mio figlio è autistico ho scritto una nota molto favorevole. Stimo Vitale per i suoi libri, e qualche tempo fa lo ho anche invitato a Treviso per un dibattito sull’autismo adulto.   Di conseguenza, quando decise di aprire in Facebook una pagina di informazione sull’autismo, mi sono rallegrato. Mi sono quindi dato da fare per invitare gli amici di FB miei e quelli di Autismo Treviso a prendere in considerazione la pagina Autismo: persone, bisogni, diritti, apponendovi anzitutto il famoso mi piace.   Sono stati centinaia quelli che hanno risposto al mio invito. Ora però ne sono pentito. Perché in quella pagina Vitale mette di tutto, senza alcun filtro, senza alcuna presentazione critica. Tutto quello che circola nel variegato mondo dell’autismo, che è un oceano in cui navigano alcune belle navi ma anche molti vascelli fantasma, navi di…

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Neurotribù?

31/08/2015

Brotture

1405621727248094610Ed ecco qui dall’America, presentato da  Kate Knibbs, un nuovo libro sull’autismo,  Neuro Tribes di Steve Silberman. Molto politicamente corretto, molto progressivo, sostenitore della linea del “bisogna aiutarli, non normalizzarli”. Perché l’autismo non è che una variante della mente umana, “ed è, tra le altre cose, la ragione per cui Steve Jobs aveva quella capacità di concentrazione, ed è la cosa che aveva Bill Gates e che gli ha fatto fare tutti quei soldi”. Ora, se l’autismo fosse solo questo non sarebbe un handicap, ma un grande vantaggio in una società tecnologizzata e competitiva. Ma siamo alle solite, spesso ci si attacca ad alcuni casi di autistici di successo (molti dei quali non mi convincono molto in quanto autistici) per invocare un cambiamento generale di paradigma. Lo fa anche Silberman. Bene, io vedo questo obiettivo come molto lontano, e non cesserò di dire che lo Spettro che è stato creato potrà…

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Diagnosi aumentano, diagnosi calano

19/08/2015

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di Joshua A. Krisch

Prima del 1975 di autismo non si sentiva parlare: la diagnosi riguardava 1 soggetto su 5.000. Nel 2002 negli USA il numero delle diagnosi era schizzato a 1 su 150. Nel 2012 erano 1 su 68. I genitori disperati di volta in volta hanno accusato le scie degli aereigli OGM e i vaccini per l’impennata dei casi di autismo. Ma secondo un nuovo studio pubblicato nell’ American Journal of Medical Genetics sembra che la realtà sia molto diversa da quella prospettata dalle ultime teorie della cospirazione.
Ecco com’è andata. Prima del 1975 ogni anno i medici esaminavano migliaia di bambini che manifestavano segni di autismo – quel tipo di sintomi nello spettro dell’autismo che qualsiasi specialista attuale riconoscerebbe come tali. Ma allora i medici classificavano i bambini autistici semplicemente come “disabili intellettivi” o “affetti da disturbo dell’apprendimento”. Negli USA quei bambini a scuola ricevevano un trattamento speciale secondo lo Individuals with Disabilities Education Act, la stessa norma che riguarda gli autistici, ma non erano mai ufficialmente etichettati come autistici. Negli ultimi 15 anni la nostra comprensione dei Disturbi dello Spettro Autistico si è sensibilmente evoluta, e a causa di alcune recenti e controverse modifiche al Manuale Statistico e Diagnostico (DSM-V), sono stati diagnosticati come autistici più bambini che mai, perché ciò che costituisce l’autismo è stato ridefinito. Questo può ingannare i genitori, inducendoli a pensare che l’autismo stia realmente aumentando, anche se così non è. I Centers for Disease Control and Prevention lo sostengono da anni, ma finora non vi erano molti dati scientifici a supportare questa tesi. Così alcuni ricercatori hanno mappato il numero dei bambini che  hanno beneficiato dell’educazione speciale tra il 2000 e il 2010, e hanno trovato che mentre per tutto il decennio il numero complessivo dei bambini con bisogni speciali è rimasto costante, quello dei bambini con diagnosi di autismo è aumentato di cinque volte. Questo indica che l’aumento dei casi di autismo è dovuto ad uno spostamento nella classificazione, non rispecchia una crescita reale del numero di chi ha l’autismo. In altre parole, negli USA il numero delle persone con autismo è sempre più o meno lo stesso, solo che una volta non si usava l’etichetta autistico. Adesso che ne sappiamo di più, lo diagnostichiamo più spesso. “La diagnosi è molto complessa, e questo influenza la percezione della prevalenza dell’autismo e dei disturbi connessi” afferma Santhosh Girirajan, il professore di biochimica della Penn State University  che ha guidato la ricerca. “Ogni soggetto è differente, e come tale va trattato”.


La scuola per un normale autistico

15/07/2015

Questo articolo di Gianluca Nicoletti è molto interessante sotto diversi aspetti. Ne richiamerò qui due. Anzitutto è interessante perché fa risaltare ancora una volta la grande distanza che sempre esiste in Italia tra la validità dei princìpi, solennemente espressi dalle leggi, e la messa in atto degli stessi sul piano della vita quotidiana. L’inclusione scolastica delle persone con autismo, ad esempio, è uno dei campi in cui questa distanza è palpabile, in cui i soggetti autistici e le famiglie sperimentano massimamente la radicale estraneità tra la proclamazione e l’atto. Qui sta anche, e se non lo si capisce è meglio rinunciare a farsi interpreti dei bisogni delle persone autistiche, il motivo dello scarso entusiasmo con cui la stragrande maggioranza di coloro che vivono queste problematiche hanno accolto l’approvazione alla Camera del disegno di legge sull’autismo. Il loro scetticismo è razionalmente fondato, ma anzitutto è una pianta fatta crescere dall’esperienza di vita.
Il secondo aspetto è ancora più importante, e riguarda la comprensione generale di ciò che intendiamo quando diciamo autismo. Qui tocchiamo un tema su cui non cesserò di battere finché avrò fiato. L’ampiezza dello Spettro, infatti, fa sì che vi si comprendano persone che hanno caratteristiche e bisogni abissalmente lontani. Tra un autistico a basso funzionamento con capacità cognitive ridottissime ed un autistico ad altissimo funzionamento appassionato di matematica e in grado di fare l’università la lontananza è siderale, e le condizioni di vita e i destini non sono minimamente paragonabili. Anche nella scuola, ove il soggetto ad altissimo funzionamento, con tutti i problemi che potrà avere nella socializzazione e nei rapporti interpersonali, non finirà fuori della classe, non sarà relegato in una stanzetta, ecc. (Vi sarebbe qui da aprire poi un altro discorso: mio figlio Guido e altri come lui hanno assoluta necessità di disporre di un luogo appartato dove poter svolgere determinate attività, ecc.). Ma è evidente che il pericolo che corrono i genitori di persone autistiche è sempre anzitutto quello di vedere la sindrome attraverso il filtro della propria vita vissuta: e così in questo articolo di Nicoletti il normale autistico è un soggetto averbale. Ma questo è un arbitrio terminologico che, anche se detto con ironia, non possiamo accettare, perché comunque genera confusione. Purtroppo ilnormale autistico non esiste, i termini autistico e autismo ormai tendono a sprofondare in una nebulosa di insignificanza, per emergere dalla quale è urgente che le famiglie dei soggetti a basso funzionamento facciano risaltare con forza la differenza dei loro figli. Non è certo omologandoli agli Asperger che potremo costruire per loro un futuro non disumano.

La scuola per un normale autistico, di Gianluca Nicoletti

Ho incontrato Paola per strada, il suo ragazzo autistico Gabriele quest’anno è stato promosso agli esami di terza media. Paola in piedi sul marciapiede di Viale Mazzini,  con le spalle al muro in un bollente pomeriggio d’estate, è fiera del diploma del figlio.  Per lei è stato abbastanza umiliante vederlo alle prese con una commissione che nulla sapeva di lui, che non parla e che non scrive. A Gabriele è stato chiesto di firmare il verbale d’ esame, lui ha fatto tre linee aiutato dalla madre.

Paola ricorda anni desolati di vita scolastica, anni che Gabriele ha passato in una stanza invece che in classe, con insegnanti di sostegno non sempre all’ altezza della sua reale inclusione. Nella maggior parte dei casi persone che non avevano mai visto un autistico prima di lui, che non avevano nessuna cognizione di come trattarlo, coinvolgerlo, aiutarlo a costruirsi la sua dignità scolastica.

Cosa è stata per Gabriele finora la scuola? Un parcheggio, un luogo di passaggio, un’ ipocrisia perché si affermi un principio molto bello e sacrosanto come quello dell’inclusione, che però per gli autistici come Gabriele quasi mai corrisponde alla sua  reale applicazione.

Ora Gabriele sarà iscritto a un liceo, uno qualsiasi, scelto solo in base alla speranza che gli possa capitare come sostegno una ragazza molto brava e che la madre conosce, che è stata assegnata a quel liceo. Per Gabriele ci sarà ancora una stanza dove passerà il tempo con qualcuno che lo guarda a vista. Non è un caso eccezionale, la prassi è per lo più questa. Solo  quando si ha la fortuna di incontrare insegnanti che si sono formati per loro passione, e dirigenti scolastici particolarmente illuminati, accade il miracolo che un autistico possa anche sentirsi parte di una classe di suoi coetanei.

Ragazzi che naturalmente hanno un passo diverso, ma pur sempre ragazzi come lui e con i quali avrebbe diritto di stare assieme, partecipare alle attività non solo scolastiche, andare in gita, vivere la sua adolescenza. Quello che per tutti gli altri è garantito per noi autistici è un obiettivo sempre lontanissimo e difficile. Quello che per gli altri  genitori  è un documento da incorniciare, il primo attestato di autonomia del figlio che cresce, per noi autistici è un pezzo di carta che sembra burlarci con voti messi a caso.

Non racconta nulla  dell’autistico un criterio di giudizio pensato per lo studente neurotipico, noi autistici siamo invalutabili quanto indicibili. Una medaglia di cartone o un diploma del club di Topolino avrebbero forse più senso di un documento che ci viene dato solo per formalità, che non corrisponde agli  anni  evaporati  dietro al banco di una scuola.

via La scuola per un normale autistico – Alla fine qualcosa ci inventeremo.


Di chiunque siano figli

09/05/2015

Brotture

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I problemi legati alla difficile condizione delle persone con autismo adulte e delle loro famiglie stanno ottenendo una visibilità un po’ più ampia di quella che era data loro fino a poco tempo fa, che era pressoché nulla. I bambini autistici diventano adulti autistici, e molti lo sono già. Per loro c’è tuttora ben poco, c’è ben poco di veramente degno di un essere umano, e quando vi è a livello di strutture non è detto che vi sia a livello di trattamento e di vita quotidiana, come dimostra il bel libro di Gianfranco Vitale Mio figlio è autistico. È vero che qua e là nel Paese sono sorte iniziative, spesso fortemente spinte se non create dai familiari, di buon livello, residenze per il dopo di noi, attività aperte a persone adulte con autismo, ecc., ma quante sono rispetto ai bisogni effettivi? Quanti sono gli autistici che possano dire…

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