Nella gestione complessiva del problema autismo il ruolo dei genitori è fondamentale, a tutti i livelli. Se scrivessimo che questo elemento è stato ben compreso dal sistema socio-sanitario e da tutti i professionisti che si occupano della questione scriveremmo una sciocchezza. In uno dei primi libri sull’autismo che ho letto, Apprendimento e cognizione nell’autismo, di Schopler e Mesibov, un testo del 1995, si trovano su questo punto dei concetti che sono stati riproposti in tutti questi anni da tutti i maggiori esperti del mondo, ma che trovano ancora scarsa e tepida accoglienza in Italia. Nel nostro Paese capita ancora che i genitori si sentano dire dal neuropsichiatra di turno «faccia la mamma», «faccia il papà», come se non lo facessero già, e come se i bisogni non fossero ben altri. In realtà «faccia la mamma» significa anzitutto «non si impicci di ciò che non è di sua competenza, non invada il terreno del professionista». Dimenticando ovviamente che, se i genitori avessero lasciato tutto in mano ai professionisti, e le loro associazioni storiche non avessero combattuto le loro difficili battaglie, oggi saremmo ancora alla madre frigorifero e alle baggianate psicoanalitiche.
Ora, è evidente che i genitori devono essere coinvolti. Ma il coinvolgimento esige che essi devono anzitutto essere ascoltati, perché ogni persona con autismo è diversa dall’altra, e anche le famiglie lo sono tra loro. Ma su questo punto, come su altri, il nostro sistema è spaventosamente arretrato. Leggiamo in Schopler e Mesibov:
«Nell’educazione dei bambini autistici a livello prescolare è di importanza assoluta il coinvolgimento dei genitori nell’educazione e nello sviluppo dei figli» (p. 373). Importanza assoluta. Toglierei il prescolare, e di questa frase farei un’epigrafe da porre bene in vista in ogni neuropsichiatria, in ogni centro per l’autismo.