L’autismo come questione politica

L’autismo si viene dunque configurando anche come un problema politico, ed è un problema del quale la politica italiana fino ad oggi non si è fatta carico. È un problema politico anzitutto perché è un problema di equità. Mentre tutti sanno che, fintanto che non crollerà il welfare, nel caso di una grave malattia l’operaio e il manager dal sistema sanitario avranno sostanzialmente la stessa risposta, saranno trattati nell’ospedale pubblico allo stesso modo, se io ho un figlio autistico e sono un povero diavolo, magari culturalmente poco attrezzato e non in grado di muovermi all’interno della grande offerta di informazione e disinformazione che c’è, non sono assolutamente nella stessa condizione della persona ricca e colta, in grado di decriptare e interpretare le informazioni, di trovare la giusta strada con i giusti appoggi, e sostenere i costi delle terapie private. Qui c’è un’ingiustizia gravissima, di cui la politica deve farsi carico, se siamo e finché siamo all’interno di un sistema che si pretende democratico e che quindi ha alla base l’idea che la salute è un diritto di tutti, a prescindere dall’appartenenza a caste o classi sociali. Per questo l’autismo è un problema politico, che mette sotto questione la politica italiana di oggi.

L’autismo è infatti una disabilità costosa. Nel senso che l’impegno a livello di personale, di persone che seguono i bambini, l’impegno anche intellettuale e concettuale che è richiesto a coloro che debbono programmare, ecc., è molto alto. Tutte le esperienze in corso (Cascina Rossago ecc.) ci mostrano realtà molto costose. Vedendo questo, e  pensando al dopo di noi e al numero delle persone con autismo (un numero oggi incerto) e alla necessità di dare loro negli anni futuri una sistemazione per la vita, c’è da far tremare le vene e i polsi. Ritorniamo infine sempre alla questione delle scelte politiche, perché io posso decidere, come società, che i miei figli deboli e sventurati richiedono la distrazione di una consistente parte di risorse economiche del Paese, oppure posso decidere che ad essi va dato il minimo, onde destinare le risorse ad altre cose. Perché certo le risorse date agli autistici non si tradurranno in sviluppo economico del Paese. Le risorse dedicate agli autistici sono date in aiuto, date in fondo come è dato loro l’amore dei genitori, senza la pretesa che torni indietro chissà cosa..  Alle persone gravemente disabili, specie mentali, si decide di dare delle risorse importanti dal punto di vista finanziario perché è giusto. Non perché è economicamente conveniente. Siamo in grado di fare come società questa scelta? Come al solito, la questione dell’autismo ti pone di fronte a delle situazioni limite. Ti interroga pesantemente. È disposta la società italiana a fare degli importanti investimenti perché queste persone così disabili dal punto di vista mentale stiano bene e vivano una vita il più possibile umana e siano il più possibile felici? Oppure ritiene che siano soldi buttati via perché sono degli scarti umani? Un problema non da poco, e una scelta di civiltà. Il nazismo la sua risposta l’aveva data: coerente, rigorosa, spietata: facciamo come in natura. In natura i deboli e gli inadatti non sopravvivono, dunque neanche nella società umana i disabili mentali devono sopravvivere. Da un punto di vista darwiniano, è un assurdo che una famiglia dedichi tutte le sue risorse al figlio più disgraziato, che non si riprodurrà e che non combinerà nulla nella vita, magari distogliendo le energie dai figli ben riusciti, che dovrebbero essere, loro sì, aiutati. Perché sono l’elemento che poi propaga la stirpe sana. Questo è un ragionamento hitleriano: facciamo come in natura, scegliamo la parte sana. Ma se scegliamo invece la civiltà e decidiamo che i disabili devono ricevere il massimo di umanità che possono ricevere, allora noi dobbiamo dare loro il massimo di risorse. Ma deve essere una mia scelta: io scelgo di essere più povero per dar loro di più. Ma perché è giusto, non per altri motivi. Non ci sono altri motivi. Perché devo dare tanto ad un povero disabile mentale, e non mi posso accontentare di tenerlo in un angolo a vegetare, sedato, di dargli da mangiare e da bere? Questo certo pare costar meno che se lo faccio seguire, elaboro progetti educativi, ecc. Ma è giusto? La mia risposta è che non è giusto. Quindi farò il massimo per queste persone, perché la giustizia me lo chiede. La politica è d’accordo su questa esigenza di giustizia? Non sembra che attualmente i politici italiani stiano prestando orecchio.   

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2 Responses to L’autismo come questione politica

  1. lordbad ha detto:

    Ottimo post…

    Cambiare gli italiani si può?

    Si può tornare a fare politica?

    http://vongolemerluzzi.wordpress.com/2012/02/12/cera-una-volta-la-politica/

    Un saluto

    Lordbad

    Vongole & Merluzzi

  2. gabriella ha detto:

    L’autismo può creare posti di lavoro: insegnanti di sostegno ora insufficienti e poco formati. Assistenza domiciliare in regola. Può far emergere lavoro, probabilmente in nero, quando si cerca di risparmiare su terapie costosissime… E poi…il dopo di noi fatto seriamente…Certo che se si considerano solo “scarti” ….ce ne è voluto perchè gli italiani prendessero la scopa in mano e si dedicassero anche ai rifiuti urbani…(oggi è un lavoro fisso ambito) Sull’autismo si sta facendo ricerca, noi ci speriamo, anche per non avere più a che fare con la politica e con gli ..”ignoranti”..Un autistico non è un solo voto…la famiglia è unita, per ora, contro la politica

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