di Seth Mnookin
(che ringrazio per avermi concesso di pubblicare questa traduzione)
Shannon: Seth, riferendomi a come la maggior consapevolezza e informazione sull’autismo tocchi l’esperienza personale della mia famiglia: le reazioni di pietà impulsiva sono meno frequenti. Ma allora io sono… proattiva nel promuovere quella meraviglia che è mio figlio fino ai più remoti confini della nostra comunità e dell’Internet: raramente lascio a qualcuno la possibilità di procedere su assunti negativi circa l’autismo. Trovo gente meglio informata sull’autismo come spettro: le persone tendono a fare domande su cosa Leo abbia in comune con Temple Grandin o Mr. Robison o Mr. Ne’eman o Carly Fleischmann, pittusto che presumere che lui sia Rain Man. E Leo frequenta una scuola dove capiscono non solo l’autismo ma l’autismo tipo Leo. Siamo molto fortunati, il nostro ragazzo è amabilmente protetto.
Ma mi capita di imbattermi in articoli come il recente pezzo nell’Orange County Register “Diventare troppo grandi per Andrew: come l’autismo ha costretto mio figlio a restare indietro“. Le stesse risorse che ho reperito io erano disponibili per la signora Ashline. Mi chiedo se lei sentirebbe lo stesso bisogno di lamentarsi per lo sviluppo del suo figlio autistico comparato a quello dei suoi pari neurotipici se avesse avuto accesso ad una risorsa come TPGA o il prossimo libro di Steve su neurodiversità e autismo. (Per inciso, noi abbiamo postato il pezzo della signora Ashline sulla pagina facebook di TPGA e chiesto ai nostri di lasciar passare i suoi commenti ponderati e positivi – le sue risposte sono state ugualmente ponderate anziché difensive). Mi è anche capitato di assistere a normalissime comnversazioni durante le quali delle persone assumevano un atteggiamento paternalistico nel momento in cui si rendevano conto che stavano parlando con un autistico. Dunque: io sono felicissima del progresso, ma rimango terrorizzata davanti al lavoro che si deve ancora fare, e al mondo che mio figlio erediterà – e che similmente erediterà lui. Ringrazio il cielo del fatto che mio figlio abbia tanti alleati non solo tra le comunità dell’autismo ma anche in quelle della disabilità, come ha spiegato prima Ari — questa rassicurazione mi permette di dormire la notte. (Per una breve rassegna dei movimenti americani per i diritti della disabilità, compresi alcuni di quelli menzionati da Ari, suggerisco di guardare il recente documentario Lives Worth Living).
E, Ari, per rispondere alla tua domanda: soprattutto vorrei vedere una infrastruttura nel mondo reale che combinasse le forze di TPGA e ASAN e altre organizzazioni simili, e che mettesse in contatto gli autistici e/o tutti coloro che hanno un ruolo importante nelle loro vite per fornire un contatto comunitario immediato e facilitare l’apprendimento delle migliori pratiche per l’autismo. Allora, idealmente, noi potremmo dedicare maggiori energie e risorse alla politica sociale e alla scienza. Mi chiedo quanto di più potremmo conseguire, quante persone in più otterrebero il supporto di cui hanno bisogno, se dopo una diagnosi di autismo ognuno fosse in grado di iniziare subito con competenza il suo percorso.
John: Mi è stato chiesto come potrei cambiare me stesso per poter essere all’altezza. Molta gente chiede questo: una preoccupazione è che “cambiare me stesso” implica che io pretenda di essere qualcosa che non sono. State certi che io credo che noi dobbiamo rimanere fedeli a noi stessi. Quello che intendo per “cambiare” è che io ho imparato un sacco di cose su quello che le altre persone si attendono nelle situazioni comuni, e ho insegnato a me stesso ad agire più in linea con queste aspettative. Insegnando a me stesso a ricordare che “Dave ha una figlia al college”, quando lo vedo io posso chiedergli di lei anziché lanciarmi immediatamente in quello che mi passa per la mente. Facendo così io non comprometto i miei valori, e questo fa sì che l’interazione vada meglio.
In altre situazioni, ho imparato semplicemente a tenere la bocca chiusa. Come ho scritto in Be Different, quasi sempre va bene dire “vestita di blu sei proprio carina”, ma dire “quella camicia a strisce rosse ti fa apparire grassa” quasi sempre causerà un problema, anche se è la verità. Dire che con la camicia rossa sei splendida sarebbe falso – ma stare zitto è neutro, e anche questo mi aiuta a sentirmi molto meglio. Imparare ad essere all’altezza si compone di un milione di piccole cose come questa.
Steve: Negli ultimi dieci anni si è fatta moltissima ricerca sui potenziali fattori causali dell’autismo. Molta di questa ricerca si è concentrata sulla genetica: vi sono anche stati degli studi sui potenziali fattori scatenanti ambientali — includendo nell’ “ambiente” l’ambiente pre-natale nell’utero, perché quanto più impariamo sull’autismo tanto più scopriamo che le persone autistiche sono quasi sicuramente “nate così” (per citare Lady Gaga), anziché “rese” autistiche da qualche elemento tossico dopo la nascita, come comprensibilmente temono molti genitori. Un’enorme quantità di denaro è stata spesa analizzando i genomi alla ricerca di mutazioni che possano contribuire all’autismo, e c’è stata una proliferazione dei candidati man mano che la ricerca si sviluppava. Dieci anni fa la gente parlava della caccia al “gene dell’autismo”: ora per i ricercatori è normale alludere a 50 o 100 o più fattori di rischio genetico, comprese quelle che vengono chiamate mutazioni de novo — variazioni del numero delle duplicazioni che insorgono negli individui, anziché essere ereditate. In altre parole, man mano che la ricerca procedeva, la genetica dell’autismo anziché semplificarsi è diventata più complessa ed elusiva. Di fatto è diventato chiaro che quello che noi chiamiamo autismo è un agglomerato di molte condizioni affini e distinte, con diverse eziologie. Probabilmente è più accurato parlare di “autismi”, come fanno ora molti ricercatori. E lo stesso vale per la ricerca di una “cura” dell’autismo – sebbene nessuno dovrebbe mettere in dubbio la necessità di trovare modi migliori di trattamento delle comorbilità fisiche associate alle condizioni dello spettro, così che le persone autistiche possano condurre un vita migliore. Pensare in termini di cura pare non solo scientificamente ingenuo, ma inavvertitamente offensivo verso le persone autistiche, che non si svegliano al mattino col desiderio di non esistere più.
Ari è più qualificato di me per parlare delle allarmanti implicazioni sociali della ricerca genetica in un mondo in cui su dieci feti che risultano positivi al test per la sindrome di Down nove vengono abortiti. Io sono uno che rispetta moltissimo scienza e scienziati, e proprio per questo capisco sia la volontà di comprendere una situazione così complessa, sia la paura delle persone autistiche che la conoscenza derivata dalla ricerca possa essere male usata per impedire in futuro la nascita di bambini autistici. Nello stesso tempo, tuttavia, voglio sottolineare quanto pochi fondi siano stanziati per aiutare milioni di persone autistiche viventi a condurre vite più felici, più sane, più sicure, più produttive e più indipendenti. Se li paragoniamo al foraggiamento della ricerca genetica, sono un’inezia. Quasi tutti i genitori di bambini autistici che ho intervistato sono terrorizzati da quello che accadrà quando non ci saranno più loro a supportare i loro figli e a lottare per i loro bisogni. E hanno buone ragioni per esserlo. E anche non mi sfugge che i bambini che ora ottengono il supporto maggiore spesso provengono da famiglie agiate — le famiglie che possono permettersi gli interventi precoci, la cura a tempo pieno, gli iPad e gli altri strumenti che aiutano le persone con autismo a comunicare. Quanto più noi impariamo circa i doni particolari delle menti delle persone autistiche — che è il punto centrale della ricerca fatta nel Regno Unito, al contrario di quella stanutitense, ossessionata dalla causazione — tanto più noi apprezziamo il fatto che anche le persone con disabilità più grave che sono nello spettro hanno delle vite interiori molto ricche. Io spero che nei prossimi dieci anni sia la ricerca che il dibattito nazionale sull’autismo si focalizzino maggiormente sui modi per fornire alle persone con autismo le opportunità di educazione e vita comunitaria che le renderanno in grado di esprimere questa ricchezza interiore e creatività, anziché doversi chiedere se stanno per essere messe forzatamente in un istituto dove probabilmente saranno sedate o assoggettate a restrizioni fisiche, trattamenti shock, o reclusione infernale. Ogni genitore desidera che i suoi figli siano felici, in salute e sicuri. Noi dobbiamo concentrare i nostri sforzi nel far sì che questo sia possibile per la popolazione che è nello spettro. Che non ci siamo finora riusciti è una tragedia nazionale — sia per le persone autistiche stesse, sia per tutti quelli che le amano.
John: Abbiamo parlato di interventi medici e ricerca genetica. Credo anch’io che quasi tutto questo lavoro non offra la promessa di un beneficio per la popolazione autistica vivente. E tuttavia una crescente quantità di risorse viene impiegata per una scienza più gentile, che senza dubbio porta benefici per la popolazione di oggi. Per esempio, il lavoro PEERS alla University of California o il programma Unstuck and On Target alla George Washington University sono grandi esempi di come noi stiamo sviluppando terapie che aiutano le persone con autismo ad avere maggior successo nella vita quotidiana. Impegnandoci sempre più in studi come questi noi conseguiremo due importanti risultati: primo, noi aiutiamo la nostra popolazione autistica. Secondo, noi apprendiamo nuove cose circa le nostre differenze specifiche, e questo conduce ad una migliore comprensione degli adattamenti che possono essere sviluppati per i posti di lavoro, le scuole, ecc. Quindi questo tipo di lavoro è vitale su più fronti.
Todd: Seth, per rispondere ad una domanda posta in precedenza, l’interazione più interessante che io abbia avuto con una persona in disaccordo con me sul film è stata con una donna che crede nella connessione vaccino-autismo. Una delle cose che l’hanno maggiormente accesa mentre guardava il film è stato il fatto che io abbia utilizzato alcuni spezzoni di Paul Offit mentre testimoniava in un’udienza del Congresso e diceva che stava lavorando con Merck per sviluppare un vaccino per il rotavirus (questo filmato era del 1999, penso risalga a prima della realizzazione del vaccino). La donna scrisse in una email: “Noi lo abbiamo detto per anni”. In altre parole, era indignata perché credeva che il dott. Offit avesse in qualche modo tentato di nascondere il suo lavoro sul vaccino, e che io lo avessi “colto” col film.
Le ho risposto che non pensavo che Offit potesse tener nascosto il suo lavoro anche volendo, e che per di più ero sicuro che non volesse farlo. Al contrario, lui mi disse nella nostra intervista (come sono sicuro abbia fatto con altri) che era orgoglioso del suo lavoro di sviluppo del vaccino (come in effetti doveva essere). Nondimeno, quella donna pensava che quel particolare video clip fosse una grande cosa, e mi assicurò che se l’avessi messo online avrebbe richiamato sul mio film molta attenzione. Sulla base della teoria che nessuna pubblicità è cattiva pubblicità, ho chiesto al distributore del film di postare il video. Mentre le visite sono state numerose, quel video non ha avuto effetto alcuno su vendite e pubblicità. Nell’insieme la cosa mi ha fatto aprire gli occhi su come pensano quelli che credono nella connessione vaccini-autismo. L’idea che Offit si sarebbe vergognato del suo lavoro era sorprendente e molto differente dal modo di pensare di quelli di noi che non credono in una connessione col vaccino.
Quanto alla domanda di Ari, è una domanda difficile. Posto che “se tu incontri una persona autistica tu incontri una persona autistica”, è difficile pensare ad una sola politica od obiettivo legale di cui necessariamente beneficerebbero tutte le persone autistiche. Io penso che continuerà ad essere importante assicurare che ad ogni discussione sull’autismo partecipino autistici adulti e anche continuare a spostare il confronto da un modello basato sul deficit ad un modello basato sui punti di forza. Io penso che ormai esista una infrastruttura atta a sostenere questo processo, e spero che possa portare avanti cambiamenti più forti, che al momento non so neppure concepire.
Ari: Sono obbiettivi che valgono davvero la pena, Todd. Io penso che cambiare la natura della discussione sull’autismo stia per diventare la fondazione necessaria di ogni altro tipo di cambiamento che noi potremmo sperare di portare avanti. Tuttavia, mi chiedo se sia davvero il caso che noi non possiamo pensare ad una singola politica o a priorità legali che potrebbero sollevare tutte le sorti nella comunità autistica. Per esempio, sforzi significativi per limitare e far cessare definitivamente aversivi, contenimento e reclusione finirebbero per migliorare enormemente la vita di tutte le persone autistiche. Ugualmente, l’azione contro il bullismo, o passi ulteriori nella costruzione di una reale e ampia infrastruttura di supporto all’impiego in questo paese, affrontando insieme la disponibilità di fornitura di servizi e la burocrazia dei servizi sociali e sanitari che rende difficile il lavoro alle persone. In questa materia che cosa ci impedisce di stabilire degli obiettivi ambiziosi che siano ritagliati verso una particolare parte dello spettro autistico? Per esempio, il prossimo decennio potrebbe vedere una vasta espansione della tecnologia della Comunicazione Aumentativa e Alternativa, una fine dell’impiego sottopagato per le persone con disabilità, o un’ulteriore espansione nell’applicazione Olmstead che porti ad ancora più Stati che decidano di allontanarsi dal modello di fornitura di servizi basato sull’istituzionalizzazione. Tutte queste cose porteranno benefici molto superiori a coloro che hanno difficoltà molto più gravi delle mie, ma io non posso immaginare di guardare ad esse com se non fossero ambizioni positive per la comunità. In aggiunta, io sospetto che fin tanto che la dignità e l’autonomia di coloro che hanno severe disabilità intellettuali e connesse alla comunicazione rimarranno in dubbio, sarà impossibile per il resto di noi essere sicuri dei nostri diritti. Se è considerato accettabile segregare e privare dei diritti quelli che sono in una parte dello spettro autistico – o con una qualsiasi disabilità – allora i diritti e l’inclusione del resto di noi sono condizionati dal nostro essere sufficientemente adeguati alla società normale. Come mi ha insegnato il tempo che io stesso ho trascorso nel sistema dell’educazione speciale, possedere solo diritti condizionati può determinare un’esistenza molto pericolosa.
Seth: Se non vi sono forti obiezioni, penso che questo sia un buon punto per terminare questo dialogo — almeno per ora. Potremo sempre rivisitarlo, espanderlo o esplorarlo di nuovo nel prossimo futuro.