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10/05/2011

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Dettagli

23/02/2011

Noi non viviamo la nostra vita come una sequenza di fotogrammi isolati, ma come un film che scorre in continuità, in un modo che ci appare sensato: un processo continuo, dentro il quale tutti i dettagli trovano posto, e l’insieme è più importante dei singoli particolari. Noi integriamo facilmente tutto quello che accade per la prima volta, le novità, nel nostro quadro generale. Anzi, i cambiamenti ci fanno piacere, e non temiamo che sconvolgano il nostro quadro. O meglio, ci è facile distinguere la loro importanza: un terremoto è una novità tanto quanto un bottone strappato, ma il primo ci terrorizza, il secondo no. Sappiamo distinguere tra ciò che fa saltare il quadro e ciò che rappresenta solo una minima variazione. Gli autistici non hanno questa capacità. Per loro anche un piccolissimo cambiamento può essere un dramma, perché la loro mente è priva di coerenza centrale, ed essi si appigliano alle sequenze di dettagli per ottenere quella sicurezza che non possono mai pienamente avere. Il mondo intorno a noi è mutevole, e lo siamo noi stessi. La mente autistica, prigioniera dei dettagli, non riesce a gestire il continuo mutare della realtà: le infinite variazioni che compongono la nostra giornata minano continuamente le certezze di cui una mente autistica ha bisogno. Poiché essa non comprende l’insieme, vede i dettagli come una catena in cui uno è connesso all’altro, e questa connessione è assoluta. Se manca un anello la catena si rompe, la realtà crolla. Per questo un piccolo particolare che cambia può essere una tragedia per un autistico, e dar luogo a reazioni che esprimono disperazione. Per noi è difficile comprendere questo funzionamento della mente, ma per un autistico comprendere la nostra è del tutto impossibile.

 

 
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Parole e frasi

26/01/2011

Le parole sono qualcosa di più che semplici mattoni con cui costruire quelle strutture complesse che sono le frasi. Questo un computer non lo capisce, e lo si vede bene nelle traduzioni automatiche, che risultano spesso insensate, perché il computer attribuisce ad ogni parola un senso univoco, su base statistica, e ne possono venir fuori frasi senza senso. Il senso è qualcosa che appartiene solo alla mente umana. Con questo qualcosa che è per noi così importante, gli autistici si trovano in difficoltà, anche quelli che parlano e leggono.

Nel suo libro Il pensiero autistico, Peter Vermeulen fa questo esempio:

Alcuni bambini con autismo stanno seguendo una lezione su doppio e metà. L’insegnante chiede a Riccardo di leggere una frase dal libro scolastico: “Il doppio nell’opposto della metà”. Riccardo legge quello che è scritto, alla lettera. Non nota nulla di sbagliato. Ma noi abbiamo immediatamente colto l’errore di stampa nella frase: nell’ deve essere sostituito con è il. L’insegnante chiede a Riccardo di rileggere la frase. Quando gli chiede se la frase è corretta, lui si confonde. Non capisce. Gli altri bambini autistici della classe non reagiscono. Nessuno dei quattro bambini presenti nota l’errore. Tutte le parole, prese una alla volta, sono corrette. La parola nell’ è esatta, e tuttavia inserita nel contesto, è sbagliata. Le frasi sono qualcosa di più che la somma delle parti isolate che le compongono. Ma non è così per le persone con autismo, come non lo è per i computer.


Imprevedibile

30/11/2010

Il comportamento di mio figlio Guido è un buon esempio di quello che molti genitori di persone con autismo devono affrontare quotidianamente. Questa foto, in cui lo si vede con mia moglie Lia, è di due anni fa, ma da allora non è cambiato nulla: Guido, se non è a casa o in un luogo privo di pericoli, deve essere sempre tenuto per mano, perché le sue azioni sono imprevedibili. Qui, ad esempio, potrebbe buttarsi in acqua (nuotare e sguazzare gli piace moltissimo), oppure afferrare un oggetto che si trovasse a poratata di mano – come il telefonino lasciato da qualcuno sul tavolino del bar del laghetto – e lanciarlo in acqua. Oppure potrebbe correre via, magari verso una strada su cui sfrecciano automobili: non ha il senso del pericolo. Può l’educazione risolvere questi problemi? Certo, in parte almeno lo può fare, ma è vero anche che molto dipende dalla condizione in cui versa il cervello del bambino su cui l’educazione viene applicata. Anche i metodi migliori, come l’ABA, danno risultati tanto migliori quanto migliore è la condizione cerebrale-mentale del soggetto. Per questo, l’intervento cognitivo comportamentale dovrebbe essere attuato con tanto maggior convinzione sui soggetti meno gravi. Invece accade che le neuropsichiatrie (ancora poche) che in Italia tentano di mettere in piedi questo tipo di intervento, privilegino i bambini in condizioni peggiori, spesso ritenendo erroneamente che un intervento comportamentale vada bene solo per costoro. Questo non significa affatto, ovviamente, che soggetti come Guido debbano essere trascurati, al contrario! Significa invece che il diritto all’intervento più efficace possibile deve essere un diritto di tutti. Ricordandoci che nell’ambito dell’autismo, il concetto di gravità è relativo. Io non conosco alcun caso di persona con autismo, pur “lieve”, che in Italia viva una vita indipendente e senza problemi.

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Autismo e sogni

12/11/2010

Che cosa sogna mio figlio Guido durante la notte? Sogna sicuramente, perché anche gli autistici sognano. Ma io non saprò mai cosa sogna, perché Guido non parla, e riesce a comunicare mediante immagini solo cose e bisogni e desideri elementari. Ma i sogni sono complicati e strani, e senza la parola non possono essere raccontati ad alcuno. A volte Guido si sveglia nel cuor della notte e piange e grida, e non si vuol più riaddormentare. Probabilmente ha avuto un incubo, un brutto sogno. Quando un bambino fa un brutto sogno, lo racconta alla mamma, e viene rassicurato. Con un autistico grave questa rassicurazione è impossibile. Non gli si può dire “è solo un sogno”, perché noi non sappiamo nemmeno quale sia esattamente la sua percezione di ciò che è reale. È una delle tante facce del problema autismo.

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Ritardo mentale

28/10/2010

Nel suo intervento al congresso internazionale di Autism Europe a Catania, Wilma Denteneer-van der Pasch si è occupata della correlazione tra autismo e ritardo mentale. Come è noto, nella stragrande maggioranza degli autistici è presente una forma più o meno accentuata di ritardo mentale. In taluni casi esso è estremamente accentuato. La dott.ssa Denteneer-van der Pasch ha illustrato il caso di una ragazza di nome Dragana, che presenta tutta una costellazione di problemi comportamentali e difficoltà motorie, tali che per lei non si è potuta fare una diagnosi chiara. Quello di Dragana è un caso esemplare delle difficoltà che un gravissimo ritardo mentale pone per una eventuale diagnosi di autismo. Difficile infatti, in casi del genere, discriminare tra ciò che è portato dell’autismo e ciò che deriva dal ritardo. La  Denteneer-van der Pasch ha concluso che in una situazione di gravi problematiche sensoriali e di disturbi dell’apprendimento un autismo sottostante potrebbe rimanere non diagnosticato.


Integrazione scolastica

04/10/2010

La legislazione italiana garantisce a tutti i  bambini e ragazzi disabili l’integrazione scolastica. Questo significa che anche i soggetti autistici debbono essere inseriti in classi normali, ovviamente con tutti i supporti necessari per una buona riuscita del loro percorso scolastico (insegnante di sostegno, addetto all’assistenza, spazi e sistemazioni confacenti, programmi adatti e personalizzati, ecc. ecc.). Spesso, però, in Italia le leggi ci sono, ma non vengono applicate come si dovrebbe, o vengono applicate nella forma e soltanto nella forma. Oggi si parla molto di inclusione del disabile nella scuola. Perché si possa dire che questa inclusione è riuscita bene l’allievo con autismo deve:

1. Acquisire dalla scuola le necessarie conoscenze e abilità.

2. Migliorare la sua capacità di comunicazione.

3. Migliorare le sue interazioni sociali in generale.

4. Interagire con gli altri nel contesto dell’esperienza scolastica.

5. Riuscire ad operare delle scelte all’interno dell’ambiente scolastico.

6. Essere un membro effettivo della sua classe come comunità.

Purtroppo, molte volte si deve constatare che questi obiettivi generali non solo non sono conseguiti, ma non vengono neppure prefigurati nel piano educativo personalizzato (PEI). Figuriamoci cosa ne sarà degli obiettivi più specifici e verificabili, nei quali si dovrebbero sostanziare queste prospettive più ampie. D’altra parte, un progetto scolastico personalizzato per un bambino con autismo richiede anzitutto da parte di chi lo elabora una buona conoscenza della natura e delle peculiarità dell’autismo. Ma questa competenza ancora manca in gran parte della scuola italiana.


Con la scienza

28/09/2010

AT

La scienza è rigorosa, e si basa su alcuni princìpi chiari e pubblici. Essa è sperimentale, il che significa che non si fonda su giudizi soggettivi e su percezioni personali, ma su dati oggettivi e confrontabili. L’esperimento scientifico deve sempre tener conto di dati statistici, e deve poter essere ripetuto producendo lo stesso risultato. Così, per stabilire se un farmaco è valido ed efficace si fa il cosiddetto esperimento in doppio cieco, ovvero si somministra il farmaco a, poniamo, 100 persone, e ad altre 100 si somministra un farmaco finto, del tutto privo del principio attivo che si vuol testare, che si chiama placebo. Ad un terzo gruppo di 100 non si somministra nulla, e questo costituisce il gruppo di controllo. I 200 soggetti non devono sapere se il farmaco che assumono è vero o finto, ad evitare suggestioni che possono influenzarne l’azione. Sappiamo infatti che la psiche ha un ruolo molto importante nei processi organici, e può influenzarli moltissimo. L’effetto psicosomatico può così determinare il fatto che una percentuale dei 100 soggetti che assumono il placebo può mostrare miglioramenti effettivi, addirittura fino al 30% rispetto al gruppo di controllo. Il farmaco sarà dunque dichiarato efficace se i miglioramenti saranno registrati in una percentuale di pazienti nettamente superiore al 30%. Questo dovrebbe bastare a far capire come se una persona che ha un figlio autistico si mette a raccontare ai quattro venti che suo figlio seguendo una dieta a base di mele ha fatto registrare miglioramenti spettacolari, la scienza non può attribuire alcun valore alla sua convinzione. Quei miglioramenti potrebbero derivare da cause le più diverse. L’atteggiamento scientifico richiede le virtù della prudenza e dell’umiltà. La scienza non procede per affermazioni categoriche, e di solito quindi l’atteggiamento scientifico urta contro bisogni psicologici radicati, come quello di trovare un responsabile umano dei mali che ci colpiscono, un capro espiatorio (i capitalisti, le multinazionali, le industrie farmaceutiche, i politici, ecc. ecc.). Purtroppo, la situazione delle famiglie colpite dall’autismo (dico così perché l’autismo affligge una famiglia nel suo insieme) è così drammatica che qualsiasi stregone, venditore di elisir, o furbastro venditore di illusione può trovare credito (anche in senso finanziario).


Medbunker

27/09/2010

Consiglio caldamente questo blog, in cui le problematiche della medicina sono viste in un’ottica razionale e scientifica. Tra di esse anche l’autismo.

http://medbunker.blogspot.com/


Promesse e fatti

20/09/2010

UDINE – “Agli handicappati tante promesse e pochi fatti”. È il grido di dolore che lancia Elena Bulfone, presidente dell’associazione Progettoautismo Fvg (Friuli Venezia Giulia) che scatta la fotografia della situazione in Friuli Venezia Giulia dove un bambino su 150 è affetto da autismo, dove gli interventi comportamentali nei centri riabilitativi non vengono rimborsati, i centri non coprono tutte le richieste e ci sono famiglie che attendono da anni di essere prese in carico.

“Aspettiamo da oltre tre anni che le nostre linee guida vengano recepite dalla Regione – spiega Bulfone – durante l’estate ci sono stati alcuni contatti informali con la Regione ma, rispetto a una formale presa di posizione, sono stata rassicurata solo a parole”. Alle carenze che l’associazione imputa alla Regione, si aggiunge il dramma dei tagli ministeriali alle ore di sostegno a scuola e i casi limite si registrano a Udine dove si arriva a una riduzione del 75%. “Questa situazione, ma non è la sola – spiega Bulfone – la sta vivendo una famiglia che ha chiesto aiuto all’associazione perché al posto delle 22 ore di sostegno alla settimana che spetterebbero al figlio autistico, quest’anno ne potrà fare solo 6”.

In questi casi ci sono solo due soluzioni: pagare un insegnante di sostegno privato oppure tenere il bimbo a casa, “ma in questo modo – accusa Bulfone – si lede il diritto costituzionale all’istruzione. Qualche ora di sostegno viene sopperita dall’ambito socio assistenziale dei Comuni, nel caso di Udine, ma non tutte le amministrazioni hanno le risorse per farlo. Altro che pari opportunità, i nostri bambini sono sempre gli ultimi”.

Sul fronte regionale qualche passo avanti è stato fatto, ma non basta. “Da tempo chiediamo l’istituzione di un osservatorio sull’effettivo numero di persone affette da autismo in regione – spiega – dal momento che a 18 anni gli autistici diventano malati neuropsichiatrici, fare una stima è davvero difficile. Dalla Regione ci fanno sapere che l’osservatorio sarà avviato, ma sono le stesse parole dette un anno fa. Ora ci aspettiamo che l’assessore Kosic mantenga le promesse fatte”. Sono diverse le criticità da affrontare, dalla carenza di logopedisti al Gervasutta alla mancanza di personale addetto alla riabilitazione nelle strutture preposte. “Questa situazione è una bomba a tempo – conclude Bulfone – Domani avremo tanti adulti autistici privi di sostegno“. (Il Gazzettino)


Festa delle Associazioni a Treviso

15/09/2010

L’Associazione Autismo Treviso onlus parteciperà domenica prossima (19 settembre) dalle 10 alle 18 alla seconda edizione della Festa delle Associazioni di Volontariato indetta dal Comune di Treviso. Saremo presenti con una nostra postazione in Piazzetta Aldo Moro (adiacente a Piazza dei Signori), per presentare materiale illustrativo sull’autismo, sulla nostra attività associativa e in particolare il nostro progetto “L’orto di San Francesco”. Vi aspettiamo!  
Un caro saluto
Fabio Brotto


Autismi

10/09/2010

Si sente parlare spesso di una epidemia di autismo, nel senso che i casi segnalati e diagnosticati appaiono sempre più numerosi. Le cifre ufficiali parlano di una incidenza di 1 su 150 bambini. Non si tratta dunque di una malattia rara. Bisogna però precisare che: 1) Non esiste alcuna prova sicura del fatto che quello che chiamiamo autismo sia in aumento sul piano della realtà. Piuttosto, sono i criteri diagnostici che negli ultimi tempi sono cambiati, e la ricerca scientifica  e la maggior precisione nelle indagini diagnostiche consente di classificare come autistici soggetti che un tempo sarebbero stati denominati ritardati, deficienti, psicotici, ecc.  2) Tutti quelli che sostengono che stanno nascendo moltissimi autistici a causa delle vaccinazioni, dell’inquinamento ecc. non hanno alcuna base scientifica seria su cui appoggiarsi, e le loro ipotesi si sono dimostrate indifendibili e fragilissime. 3) Come il termine tumore da solo non è affatto sufficiente a determinare di quale patologia esattamente una persona soffra, così autismo è termine massimamente generico.  Infatti si parla giustamente di disturbi dello spettro autistico, cioè di varie forme e manifestazioni della sindrome, tutte rientranti nel grande insieme autismo. Così, dentro questo spettro ricade colui che soffre della sindrome di Asperger, e magari al liceo ottiene voti altissimi in qualche disciplina nella quale dimostra capacità formidabili, e ugualmente colui che non sa nemmeno parlare ed è assolutamente incapace di affrontare qualsiasi disciplina scolastica, avendo un Q.I. bassissimo. Chiunque abbia incontrato due persone con autismo potrà dire che erano diverse, molto diverse tra loro, pur presentando dei tratti comuni. Proprio la presenza di questi tratti comuni può consentire a chiunque abbia conosciuto un certo numero di autistici di fiutare il possibile autismo in una persona sconosciuta, in pochi istanti (certo qui non si tratta di diagnosi professionali, si tratta di sospetti, che richiedono osservazioni corrette e valutazioni scientificamente fondate). Io stesso ne ho fatta l’esperienza. Tanto più sorprende la diffusa mancanza di una tale capacità in molti di coloro che dovrebbero possederla al massimo grado, come pediatri, psicologi e neuropsichiatri. (Nella foto: Guido con Ludovico che suona la pianola all’Orto di San Francesco)


I primi segnali dell’autismo 2

10/09/2010

Uno dei segnali precoci di autismo più diffusi è un comportamento facilmente rilevabile: il bambino, soprattutto quando è eccitato, ruota su se stesso (spinning) a lungo e ripetutamente. Ad esempio, davanti alla televisione, se un programma lo stimola. Lo stimolo solitamente non è legato al senso delle scene o di una canzonetta, ma a particolari, a dettagli. Può essere una luce, un suono, una sigla, un’immagine particolare, una scritta luminosa. La mente autistica si perde nei dettagli.

Nel video si coglie chiaramente come il comportamento della bimba non sia legato ad una interazione coi genitori, ma sia propriamente autistico. È un comportamento ripetitivo, privo di un significato comunicabile.


Una rivoluzione culturale per l’autismo

06/09/2010

“Lei faccia il genitore!” ; “Lei il bambino lo ha voluto?”. Un invito e una domanda che sovente, ancora oggi, molti papà e mamme di bambini autistici si sentono rivolgere. Ma non in un salotto o per strada, da persone che dell’autismo non sanno nulla o ne hanno solo una vaga idea, bensì nello studio di un neuropsichiatra infantile o di uno psicologo dell’azienda sanitaria locale. Un invito assurdo, una domanda inaccettabile. Questo invito e questa domanda, che purtroppo risuonano spesso, sono due importanti segnali dell’immensa arretratezza culturale con cui, nel 2010, in Italia viene ancora affrontata la questione dell’autismo.

Dell’autismo oggi si sa molto, non è più un mistero. Si sa, ad esempio, che è una sindrome conseguente ad un disturbo di origine neuro cerebrale, e che quindi la sua causa è organica, che sicuramente vi è una implicazione genetica (che coinvolge numerosi geni e non uno solo), che non è una malattia da cui si possa guarire con diete o trattamenti avventurosi, e che l’unica cosa che può dare risultati misurabili è un intervento educativo precoce e intensivo, secondo modalità cognitivo-comportamentali.
In passato, era prevalente un approccio di tipo psicodinamico, orientato dalla psicoanalisi. Alla base di una grande confusione, e di una serie di pratiche errate e che colpevolizzano i genitori (come se fossero il loro più o meno inconscio rifiuto del bambino e la freddezza materna -la madre frigorifero- a far sì che il bambino si richiuda in una sorta di guscio ermetico), sta anche l’uso del termine autismo. Spesso i nomi che si scelgono per denominare qualcosa hanno delle conseguenze importanti. E autismo fu il termine che il grande psichiatra Eugen Bleuler, studioso delle schizofrenie, utilizzò un secolo fa per indicare quel sottogruppo di schizofrenici che si richiudono totalmente in se stessi, con una sorta di fuga dal mondo, quasi bastando a se stessi (dal greco autos, che significa stesso). Quando lo psicologo americano Leo Kanner nel 1943 individuò per primo uno specifico gruppo di bambini che presentavano i sintomi di quello che in seguito comunemente sarebbe stato chiamato autismo, riprese il termine di Bleuler, come si trattasse dello stesso disturbo mentale degli schizofrenici, che compare però precocemente nei bambini, e lo denominò autismo infantile precoce. Qui sta una delle radici della confusione che ancora oggi regna nelle teste di molti neuropsichiatri e psicologi, ovvero quella tra una psicosi, qual è la schizofrenia, cioè una malattia mentale che può comparire ad un certo punto della vita, ed una disabilità originaria, che si manifesta sempre entro i primi 3 anni di vita, qual è l’autismo. Sempre è un guaio quando si usa lo stesso termine ad indicare, su un piano scientifico, lo stesso patologie differenti.
Torniamo all’invito e alla domanda con cui abbiamo iniziato. Chiedere ad una mamma se abbia desiderato o meno quel suo bambino che manifesta gravi problemi comportamentali, che non parla, o che passa ore a compiere macchinalmente sempre lo stesso gesto, è sensato solo a partire dalla convinzione che l’autismo sorga a causa dei genitori, abbia cioè una origine nella relazione madre-figlio. Questa idea è radicalmente sbagliata, e di questo esistono prove innumerevoli, non ultima la dedizione assoluta al figlio che moltissime famiglie mostrano, superando difficoltà gigantesche. Tuttavia, è difficile liberarsi delle proprie convinzioni, e molte famiglie con figli autistici lo provano sulla propria pelle, anzitutto sentendosi fare quella domanda, che insinua un dubbio, e alimenta i sensi di colpa. La prima cosa che un neuropsichiatra dovrebbe fare è liberare preventivamente la famiglia da ogni senso di colpa, spiegando cosa sia l’autismo e come esso sia un disturbo di origine neurobiologica. Qui occorre una vera rivoluzione culturale!
 
 Quanto all’invito a fare semplicemente il genitore, nel caso dell’autismo è assurdo, per il semplice fatto che il genitore in quanto tale non sa cosa fare col figlio. Pensate ad un bambino che non parla, non comunica in alcun modo, ma spesso si arrabbia, si picchia, urla, e mangia solo cibi di colore bianco, vuole salire solo su auto rosse come quella del nonno, beve solo aranciata, e ha tutta una serie di comportamenti bizzarri. Che significa fare il genitore, se non sai nemmeno come insegnargli a fare la pipì nel WC, e il bambino mostra di non sapere imitare nemmeno i gesti più semplici delle altre persone? Il neuropsichiatra dovrebbe invece dire più o meno questo: “Cari genitori, l’autismo è un problema gravissimo, ma si può fare molto per vostro figlio. Esistono questi programmi educativi speciali. Poiché è necessario un intervento educativo intensivo e precoce, dalla prossima settimana verrà a casa vostra l’educatrice del nostro centro per l’autismo, dott.ssa Rossi, e vi aiuterà a sistemare l’ambiente domestico secondo le esigenze del bambino, e comincerà a mostrarvi come si fa a comunicare con lui. Sarete avvisati della data di inizio del programma speciale qui al centro. Faremo anzitutto una accurata valutazione del bambino, per misurarne le capacità e le attuali condizioni in tutti gli ambiti, e prepareremo un programma per lui, in cui saranno indicati tutti gli obiettivi da raggiungere, gli strumenti da utilizzare, e i criteri di verifica degli obiettivi stessi. Periodicamente saranno effettuate nuove valutazioni, in modo da verificare continuamente l’efficacia del trattamento e rimodularlo ove necessario. Prenderemo contatti con l’asilo per preparare l’ingresso del bambino e i programmi individualizzati che dovranno essere portati avanti a scuola con la supervisione del nostro neuropsicologo e dell’educatrice del centro. Inizieremo anche un programma di parent training perché i genitori devono assolutamente partecipare al lavoro educativo e ricevere tutte le informazioni e la formazione necessaria. Cari genitori, è soltanto lavorando da subito tutti insieme, ULSS, famiglia e scuola, che il vostro bambino potrà migliorare e vivere una vita tranquilla e serena. Il vostro lavoro è importante come e più del nostro, perciò rimbocchiamoci le mani insieme e vedrete che si potrà fare molto”. Purtroppo, è ben raro che una famiglia con un figlio autistico si senta fare un discorso del genere. Occorre una rivoluzione culturale!

 


La bufala della Comunicazione Facilitata (2)

04/09/2010

Ma venne il momento in cui la comunicazione facilitata si svelò per quello che era.
Una dei facilitatori di Matthew Gherardi, Susan Rand, mostrò a Cathy (la mamma) un messaggio di Matthew che sosteneva di aver subito abusi sessuali da suo padre, Gerry. La Rand riportò le affermazioni di Matthew alla polizia. Gerry Gherardi, farmacista presso un ospedale per veterani, non sapeva nulla delle accuse contro di lui. “Andai a casa intorno alle 9.30”, disse. “Parcheggiai l’auto e subito Cathy venne di corsa e iniziò a parlarmi. Immediatamente mi disse di non entrare in casa, che c’era un mandato d’arresto per me, e che mi veniva mossa l’imputazione di aver abusato sessualmente di Matthew”. Gherardi proclamò la sua innocenza. Ma la scuola, i servizi sociali e la polizia credevano che le accuse venissero da Matthew. Gerry Gherardi trascorse i sei mesi successivi a casa di un amico. Ricorda: “Dissi a Cathy: ‘Qui ci dev’essere qualcosa che non va. Probabilmente sta capitando anche altrove. Dobbiamo chiamare la Autism Society a Washington e trovare se hanno qualcosa su comunicazione facilitata e imputazioni di abusi sessuali’. Quando lei li chiamò, loro mandarono subito del materiale, che ci mostrò che cose del genere stavano capitando in tutta la nazione”. Leggi il seguito di questo post »